Le autorità curdo-siriane hanno annunciato di voler rimettere in libertà oltre 20mila civili siriani, imparentati con ex jihadisti dell’Isis o provenienti da zone a lungo dominate dall’Isis, da circa due anni rinchiusi in un campo profughi al confine con l’Iraq. Lo ha detto Elham al Ahmad, del Consiglio democratico siriano, istituzione che governa la regione semi-autonoma curdo-siriana e che gestisce i campi profughi e di prigionia della Siria nord-orientale e orientale.
Il campo di al Hol ospita dal 2019 decine di migliaia di civili, siriani ma anche di altre nazionalità, sfollati dalle zone della valle dell’Eufrate che l’Isis aveva controllato dal 2013 al 2018.
Secondo stime dell’Onu, nel campo rimangono circa 25mila siriani, 30mila iracheni e 10mila di altre nazionalità. Si tratta per lo più di donne e bambini, moglie e figli di ex jihadisti, morti in battaglia o fatti prigionieri dalla Coalizione.
In condizioni igienico-sanitarie difficili e in un contesto di forte tensione sociale, il campo di al Hol è stato da più parti descritto come un “focolaio di radicalizzazione” e come “l’ultima roccaforte dell’Isis” in Siria.
L’Isis era stato sconfitto dalla Coalizione internazionale a guida Usa e di cui fanno parte i combattenti curdo-siriani.
L’amministrazione politica curdo-siriana, che domina la Siria orientale e nord-orientale, da tempo chiede alla comunità internazionale di farsi carico delle spese di gestione del campo di al Hol.
“Il consiglio democratico siriano e l’amministrazione autonoma (curdo-siriana) hanno deciso di svuotare completamente il campo dai siriani, lasciando solo gli stranieri”, ha detto Elham al Ahmad, citata dai media.
In precedenza, i siriani venivano rilasciati col contagocce dopo una serie di accordi tra l’amministrazione curda e i clan tribali arabi della Siria nord-orientale e orientale, da cui provengono gran parte dei civili siriani rinchiusi dal 2019 ad al Hol.