Una Russia “aperta, moderna e multiforme”: è questa l’immagine che Sochi ha offerto al mondo, secondo Vladimir Putin. Il presidente russo ha così vantato il principale dei successi olimpici all’indomani della chiusura dei Giochi invernali 2014, durante la cerimonia ufficiale di consegna dei premi agli atleti di casa. “La vocazione di Sochi è stata esattamente questa”. Non ci saranno le Pussy Riot o le leggi omofobe a far discutere, né la paura di attentati a scoraggiare il mondo. Ma l’ombra nemmeno troppo sottile del nemico confinante da cancellare, quella sì. Mancano quatto anni e Pyeongchang, la città che ha ricevuto il testimone da Sochi per i prossimi Giochi invernali, ha fretta di aprirsi al mondo. La sfida nella sfida è proprio quella, se non di annullare, ma almeno rendere meno profondo il solco con i vicini della Corea del Nord. “Il nostro auspicio è che nel 2018 in gara ci siano anche i loro atleti, spiega il presidente del comitato organizzatore, Kim Jin-sun. L’operazione diplomatica, nonostante le continue tensioni tra i due Paesi e le minacce al mondo intero del dittatore di Pyongyang Kim Jong-un, è già partita, ma sugli effetti non c’è da scommettere. Come lo è stato per Sochi, la cui primavera anticipata ha reso uno slalom a ostacoli anche lo stesso calendario delle gare a causa delle alte temperature anche sui siti montani. E ci sarà molta attenzione al budget e Pyeongchang ha messo in bilancio 5 miliardi, che comprendono anche l’investimento per una linea ad alta velocità che collega Seul e il sito olimpico. “Sono convinto che sapremo preparaci al top”, dicono i coreani che dai Giochi estivi di Seul avevano ricevuto aria nuova. “Nel 2018 tutti vedranno un paese veramente moderno ed è una grande sfida e un affare per gli sport invernali in Asia, ancora indietro rispetto a Europa e Asia”.
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