Da un’intervista a Il Giornale spunta un ultimo accusatore della famiglia Soumahoro: Youssef Kadmiri, un ingegnere marocchino 42enne che, nel raccontare la sua disavventura umana e professionale scattata all’arrivo alla cooperativa Karibu, a Latina – la creatura tentacolare della compagna e della suocera del deputato finito al Gruppo Misto –. Un percorso durato due anni di lavoro di cui, denuncia l’intervistato, «sto ancora aspettando lo stipendio. Lavoravo a nero perché rimandavano sempre il fatto di farmi un contratto. Mi dicevano che i pagamenti non arrivavano perché c’erano ritardi dalla prefettura, dai comuni e dagli enti. Avrei dovuto avere 1200 euro al mese ma ancora dopo tre anni niente»…
La domanda del Giornale è semplice: «Come si viveva alla Karibu?».
«Male. Non c’era niente. Ma la cosa più brutta erano i minori che vivevano lì. Erano lasciati a loro stessi per settimane, completamente abbandonati. Non c’era acqua, non c’era luce e pochissimo cibo. Non avevano vestiti, non c’era nemmeno una lavatrice e non sapevamo davvero come andare avanti». E ancora. «Noi dipendenti provavamo ad aiutare come potevamo, comprando cibo per tutti. Ma non essendo pagati la situazione era davvero drammatica. I minori, (ragazzini di 14-15 anni), avrebbero dovuto seguire corsi di italiano, percorsi con psicologi e insegnanti. L’accoglienza doveva prevedere anche le cure mediche, ma in realtà le condizioni erano disumane».
E, cosa ancor più spiazzante, la compagna di Soumahoro e sua madre conoscevano la situazione. E l’ex dipendente della coop conferma: «Loro venivano sempre al centro di accoglienza e vedevano la situazione degradante. Vedevano che i minori si arrangiavano e andavano a lavorare per pochi euro in aziende agricole, o in qualsiasi altro posto, pur di riuscire ad ottenere qualche euro per mangiare e vestirsi. Ma non hanno mai fatto niente. A loro non è mai importato nulla. Facevano promesse su promesse». Macchinando nel frattempo per arrivare a quello che la Procura avrebbe poi scoperto: ossia che i fondi destinati ai migranti finissero nelle loro tasche, per poi essere utilizzati per acquistare abiti griffati e molto costosi.
Un ultimo schiaffo sferrato in faccia a profughi e migranti, di cui lo stesso Kadmiri ha consapevolezza. Tanto che dichiara: «Ho visto, non mi stupisce. Tutta la famiglia è così. Si sono sempre presentate con abiti firmati, di marca. La moglie di Soumahoro è una donna ricca e lo è sempre stata. Come Marie Terese». E lui? L’onorevole che si è presentato in aula il giorno dell’apertura dei lavori parlamentari in completo istituzionale e stivali di gomma da lavoro, si è mai visto alla Karibu? Ha avuto modo di verificare sul campo le condizioni disperanti in cui si viveva al centro di accoglienza?
«Beh sì – è la risposta –. Come poteva non vedere i ragazzi lasciati lì senza acqua né cibo? Lui portava la spesa, ma era sempre poca: una volta a settimana per dieci ragazzi tipo. C’erano anche bambini piccoli che avevano bisogno di latte, ma il latte non c’era». Eppure, come ricorda il quotidiano diretto da Minzolini, l’onorevole Suomahoro ha detto di essere stato una volta alla Karibu, ma di non aver visto niente di strano. Strano: perché come incalza l’ex lavoratore della coop, «non sono solo io a dire che sapeve tutto, ma per noi dipendenti era chiaro. Tutta la famiglia è sempre stata così».