È agosto, la calura estiva mangia la campagna del meridione e in un solitario paesino di provincia si consuma l’ennesima violenza di genere, all’ombra degli estatici festeggiamenti per la patrona Santa Maddalena. La vittima porta il nome della santa, ma fa presto a diventare carnefice: come nelle migliori distorsioni figlie della cultura dello stupro, il victim blaming fagocita tutto lo spazio del reale, si gonfia come un’asfissiante bolla sociale e lascia M. sola a pagare il prezzo di tutto.
Maledetta così da un doppio trauma che mai potrà permetterle di ritornare chi era, M. si immerge ed affoga nel proprio dolore, bestialmente, fino a diventare qualcun’altra – un essere nuovo, oscuro, ansioso di conoscersi.
Con le voci promiscue del paese e dei suoi genitori che si affollano dietro alla sua porta chiusa, lei affronta la muta con faticosa determinazione, fino alla consapevolezza estatica di quella sua nuova, potente sé.
Fra ambienti tecno-elettronici e sonorità folkloristiche, ispirazioni bibliche e rivisitazione del mitologico, CAPELLI prova a ribaltare la condizione di vittima riservata alle donne dalla cultura patriarcale. È un racconto polifonico a due voci, politico, arrabbiato e spaventoso, femminile e femminista, ironico e crudele. Difficile, come la vita delle donne.
NOTE DI REGIA
Muta; annegamento; bestialmente; silenzio; risveglio; disagio; battaglia; apocalisse; sguardo. Le parole chiave del progetto CAPELLI ne contengono già in nuce un’idea di traduzione scenica, che ha il suo punto focale sulla metamorfosi, fisica e vocale, simbolica e ontologica, da vittima a carnefice, della protagonista M. La rappresentazione del suo “risveglio” dal trauma, metaforicamente ispirato a quello di Gregor Samsa nella “Metamorfosi” di Kafka, è intesa come rinascita, processo interiore, con la sua complessità emotiva e la stasi forzata del piano razionale; solo che a risvegliarsi non è certo un enorme insetto, ma una contemporanea Gorgone: figura mitologica che prima di tutte ha incarnato il tema del victim blaming nella cultura occidentale.
Nella dimensione liminale del risveglio tutto si mescola, il dentro con il fuori, il vero con il falso, il prima con il dopo, e i piani di lettura si sovrappongono confusamente: costruita in questo senso, la drammaturgia risultante è sperimentale e fonde narrazione, innesti di testi poetici (tratti dal Cantico dei Cantici) e prosa contemporanea, in una polifonia che incorpora le voci di circa dieci personaggi.
Ogni elemento che compone la struttura scenica partecipa di questa collisione: le voci, i corpi e le interpretazioni delle due attrici in costante dialogo/scontro, come elemento di straniamento; l’amplificazione vocale, talvolta distorta, come veicolo del dato emotivo e strumento centrale di ricerca artistica; la tammorra araba (o hand pan) suonata dal vivo, come scansione ritmica del racconto; le sonorità techno originali, come distorsione sensoriale; la sperimentazione armonica, musicale e di linguaggio, come mezzo narrativo di suggestione e termometro metafisico.
Alla base di tutto vi sono tre soli elementi: la ricerca vocale, la ritmica del suono e la loro movibilità nello spazio scenico, per costruire i personaggi della vicenda e le sue stanze emotive. La scena, inevitabilmente vuota, si fa spazio dell’anima, illuminata esclusivamente da lampade da camera e luci da interni.