Intervenuto ai microfoni de il ‘Corriere della Sera’, il ministro della Salute Roberto Speranza ha fatto il punto sull’emergenza coronavirus difendendo l’operato della squadra di governo, finita al centro delle polemiche dopo la pubblicazione dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico.
Nella prima parte della sua intervista il ministro Speranza ha confermato come la priorità del governo sia quella di riaprire le scuole. Una decisione che inevitabilmente porterà a un aumento del numero dei casi, quindi si dovrebbe procedere per compensazione andando a stringere su altri aspetti. “Il 14 settembre devono riaprire tutte, al 100% e poiché il rischio zero non esiste, dobbiamo essere cauti altrove e scegliere a cosa rinunciare”. E il discorso si sposta sul campionato di calcio e sulla riapertura degli stadi, che dopo le dichiarazioni di Speranza sembra più lontana o almeno meno probabile. “Io sono un grande tifoso, anche abbastanza in sofferenza per i destini della mia Roma. Ma con tutto il rispetto, tra accompagnare mio figlio allo stadio e portarlo a scuola, preferisco la seconda. Deve fare la quinta elementare e voglio che la faccia in presenza, come tutti gli studenti”
Dopo aver raccomandato soprattutto ai giovani di tenere atteggiamenti prudenti, il ministro Speranza ha parlato del prossimo autunno, parlando di un autunno di resistenza. “Un autunno di resistenza, perché il virus non è scomparso e, in attesa di cure più certe e dei vaccini, dobbiamo continuare a gestire il rischio. È chiaro che i mesi autunnali mi preoccupano di più”.
Nel corso della sua intervista Speranza ricostruisce poi le tappe che hanno portato al lockdown nazionale parlando anche di Nembro e Alzano e del famoso rapporto del 3 marzo. “Sono assolutamente sereno, su Alzano e Nembro la spiegazione è semplice e lineare. Tra il 3 marzo e il Dpcm del 10 che chiude tutta l’Italia non c’è nessun buco. Il 4 marzo ricevo il verbale del Cts, che mi arriva sempre il giorno dopo. Il 5 avviso Conte e chiediamo un approfondimento a Brusaferro. Il 6 il premier vede il Cts e lì matura il cambio di linea, perché il tentativo di bloccare il virus in zone delimitate è superato dai numeri dell’epidemia in Emilia, Piemonte, Liguria, Marche. Il Dpcm dell’8 marzo che chiude solo le aree più colpite è pienamente conforme alle idee del Cts. A quel punto con le Regioni decidiamo di chiudere tutta l’Italia il 10 marzo, perché non ha senso che sia spaccata in due. Penso che chiudere tutto sia stata una scelta giustissima, che ha salvato il Paese dall’onda più alta e risparmiato tante vite. La strategia del lockdown totale ci ha consentito di fermare il virus prima che invadesse il Sud. I dati di sieroprevalenza lo dimostrano“.
Piera Toppi