In un precedente articolo del nostro giornale abbiamo già scritto che Goldman Sachs pensa che l’elezione di Mario Draghi a Presidente della Repubblica, e quindi la necessità di trovare un nuovo Presidente del Consiglio, comporterebbe un ritardo nell’attuazione del Recovery Fund e delle relative riforme, e che quindi le elezioni presidenziali potrebbero avere importanti implicazioni di mercato. ‘Inoltre, nell’improbabile eventualità che la presidenza di Draghi inneschi elezioni generali anticipate, se i partiti non sono in grado di raggiungere un compromesso su un nuovo governo, la continuità politica sarebbe gravemente compromessa, causando ritardi importanti sull’impegno dell’Italia nel Recovery Fund’, si legge in una nota della banca statunitense.
Nella nota viene sottolineato che l’Italia ha previsto di beneficiare di ingenti esborsi dell’UE nel 2022, ma l’assorbimento effettivo e l’impulso fiscale dipenderanno dalla sua capacità di realizzare le riforme promesse e gli investimenti pianificati. ‘Eventuali ritardi nell’attuazione a seguito delle dimissioni di Draghi da Presidente del consiglio potrebbero ridurre l’assorbimento effettivo delle sovvenzioni del Recovery Fund tra il 50% e il 75%, diminuendo l’impulso fiscale alla crescita del PIL di 0,1 punti percentuali nel 2022 e 0,35 punti percentuali nel 2023 , e fino a 0,15 pp e 0,55 pp in caso di elezioni anticipate’, è l’analisi di Goldman Sachs, come riporta Teleborsa.
La banca statunitense continua a pensare che Draghi rimarrà Primo Ministro, anche se riconosce che l’opinione comune ritiene più probabile che Draghi sarà il prossimo successore di Sergio Mattarella, e afferma che l’esito della partita per il Quirinale sarà molto difficile da prevedere. ‘Se Draghi rimane il primo ministro, guidare il governo nel 2022 si dimostrerebbe probabilmente più impegnativo che nel 2021’, si legge nella nota, dove viene sottolineato che è probabile che le tensioni tra i partiti di centrosinistra (Pd e Movimento 5 Stelle) e di centrodestra (Forza Italia e Lega) nella coalizione di governo peggiorino con l’avvicinarsi delle elezioni generali nella primavera del 2023’.
Una volta superate le elezioni presidenziali, Draghi potrebbe però trovarsi in un posizione descritta come ‘convenient’, in quanto i partiti della coalizione al governo non avrebbero alternative praticabili fino alle elezioni del 2023. ‘Potrebbe quindi sfruttare questa posizione unica per guidare una coalizione frammentata e sfruttare i poteri amministrativi speciali concessi dalla governance del Recovery Fund che il suo governo ha istituito’, scrivono gli analisti, facilitando un’attuazione più rapida del programma europeo. Una delle conclusioni è che un utilizzo efficace del Recovery Fund rafforzerebbe il ruolo dell’Italia nel dibattito sulla riforma delle regole di bilancio europee, alla luce delle posizioni comuni espresse da Italia e Francia di recente.
Il fanta-quirinale da comunque ampio spazio alle più suggestive ipotesi riguardo la posizione di premier a Palazzo Chigi.
Se Mario Draghi dovesse diventare Presidente della Repubblica, Luigi Di Maio potrebbe prendere il suo posto a Palazzo Chigi diventando premier. Inizialmente sembrava fanta-politica ma lo scenario ha iniziato a prendere forma nel corso degli ultimi giorni.
Il fronte del Centrosinistra potrebbe appoggiare il passaggio di Luigi Di Maio a Palazzo Chigi ma Lega e Forza Italia potrebbero sfilarsi dalla maggioranza, che a quel punto rischierebbe di cadere prima della fine della legislatura. E il risultato sarebbe inevitabilmente quello delle elezioni anticipate.
Uno scenario che l’attuale Presidente del Consiglio, Mario Draghi, vuole evitare. Mario Draghi è senza dubbio il favorito per il post-Mattarella. Il problema è legato alla stabilità e alla durata del governo. Il premier dovrebbe trovare un profilo condiviso al quale consegnare le redini del governo. Impresa non semplice. E proprio per questa situazione complicata resta in piedi anche il nome di Silvio Berlusconi per il Quirinale.
Il nome di Mario Draghi convince ma non unisce, quindi un’elezione alla prima votazione sembra improbabile. Molti ritengono che il premier in carica debba proseguire il suo lavoro a Palazzo Chigi, dove sarebbe operativamente più incisivo. Il rischio è che al Quirinale Draghi possa diventare una figura simbolica. In questo momento invece il Paese ha bisogno di una guida forte. Tradotto, senza un sostituto di spicco Draghi dovrebbe rimanere a Palazzo Chigi.
Uno dei nomi caldi per un eventuale post-Draghi, come detto, è quello di Luigi Di Maio, ma difficilmente l’ex leader del Movimento 5 Stelle potrebbe tenere unita la maggioranza. Non dimentichiamo inoltre che i rapporti con Matteo Salvini non sono propriamente rosei. E anche quelli con Berlusconi non si possono definire collaborativi.
Gli altri due nomi in corsa sono quelli di Dario Franceschini e di Giorgetti, con il leghista che ha sempre collaborato a stretto contatto con Draghi e che potrebbe tenere unita la maggioranza di governo evitando una fuga delle forze di Centrodestra. Nella speranza che non siano il Pd e il Movimento 5 Stelle a fare un passo indietro.
‘L’appuntamento con l’elezione del Capo dello Stato è sempre problematico per il centrodestra’ afferma Guido Crosetto che, in un’intervista a Libero, spiega anche il perché: ‘È un appuntamento che è stato sottovalutato e che è sempre problematico per il centrodestra’.
Un centrodestra che non riesce mai a mettere in campo un candidato senza che da sinistra parta la contraerea comunicativa, attaccando etichette e riesumando stereotipi: vanno a ripescare frasi dette vent’anni prima in tutt’ altri contesti, con una capacità di sputtanamento magistrale. Un po’ come usa negli Usa, solo che qui da noi lo fanno solo i progressisti.
Certo, la destra potrebbe ricambiare gli avversari con la stessa moneta ma – avverte Crosetto – ‘ha una capacità di fuoco ridotta, visto che la sinistra è radicata in tutti i gangli vitali del Paese. Tribunali, scuola, alta burocrazia, dirigenti pubblici, cultura, comunicazione: l’85% della classe dirigente nazionale è composta da gente nella sfera della sinistra. Migliaia di persone’.
Se il centrodestra – dice ancora – questa volta che parte da 450 grandi elettori, si facesse marginalizzare nell’elezione del PdR, si suiciderebbe. Farebbe passare a molti la voglia di votarlo. Berlusconi al Quirinale Crosetto o vedrebbe benissimo. ‘Berlusconi al Quirinale alla fin fine non sarebbe un pericolo per lo status quo euroburocratico, ma sarebbe dirompente in termini positivi su alcuni fronti. E poi sarebbe divertentissimo’.
Nel centrodestra, aggiunge Crosetto, lo schema è da cambiare: basta con le contrapposizioni personalistiche. ‘Bisogna costruire rapporti veri fra le persone che compongono i partiti, far crescere la collaborazione, far incontrare i gruppi dirigenti, avere un’idea di dove andare, cosa fare e con quali obiettivi. Poi si deve riuscire a trasmetterla agli elettori e tranquillizzarli. Non si governa un Paese solo con venti ministri e cinquanta sottosegretari bravi e preparati. Ma lo sanno benissimo’. Non è sufficiente l’autorevolezza dei singoli leader, ma occorre ‘essere capaci di presentare una squadra e accreditarsi come coalizione: devono guadagnarsi una fiducia diffusa’.
La partita del Quirinale si sta trasformando in una sorta di candidature improbabili, a partire da Casini, poi Pera, quindi Amato, poi Berlusconi e, in ultimo, Sabino Cassese. Per Marco Travaglio, ad esempio, il presidente emerito della Corte Costituzionale è tra quelli da evitare ad ogni costo. La sua colpa? Aver sostenuto la necessità di istituire una commissione d’inchiesta dopo le rivelazioni di Luca Palamara sulla magistratura. E, soprattutto, le critiche al governo presieduto da Giuseppi.
La prospettiva del Quirinale a Cassese non dispiace per niente. ‘Come dicono i grandi francesi, le cariche pubbliche non si sollecitano e non si rifiutano’, ha risposto il professore dai microfoni di Sabato Anch’io su Rai Radio1, a chi gli chiedeva se fosse in lizza per succedere a Mattarella. Come a dire, ‘io non chiedo, ma se me poi succede…’. Cassese non si è sottratto neppure quando gli hanno chiesto ci commentare la definizione di ‘nonno al servizio delle istituzioni’ con cui Draghi ha presentato se stesso nella conferenza stampa di fine anno.
‘È un’autocandidatura al Colle?’, gli hanno chiesto. ‘No – obietta il presidente emerito – Voleva dire che è come un soldato pronto a rispondere all’appello della sua Patria. Tutto qui. In qualunque ruolo. È stato un uomo sempre al servizio del Paese’.
Non manca il nome di Franco Frattini nei probabili nomi proposti dal centrodestra come futuro Presidente della Repubblica.
Il nome dell’attuale presidente aggiunto del Consiglio di Stato fa da tempo capolino nei conciliaboli in corso sul Quirinale. E molti assicurano che abbia il profilo perfetto per aspirare a succedere a Mattarella. E non sbagliano. Più volte ministro del centrodestra, Frattini non è mai risultato urticante per il centrosinistra. Neanche quando s’intestò la legge sul conflitto d’interesse berlusconiano. Allievo di Giuliano Amato, Frattini esibisce un profilo istituzionale accompagnato ad un’ottima rete di relazioni, anche in campo internazionale. Potrebbe essere lui il nome intorno al quale si potrebbe creare una convergenza non solo con Italia Viva ma anche con il Movimento Cinque Stelle. ‘Frattini ha dalla sua un lavoro di cucitura di mondi durato anni. Pur avendo sempre fatto parte di governi di centrodestra, al Consiglio di Stato si è fatto notare per sentenze che – ad esempio – hanno dato ragione ai ‘passeurs’ che aiutano gli immigrati al confine e sono perseguiti, ingiustamente, dalla legge’, scrive il quotidiano di Torino. Da quando Di Maio è alla Farnesina, lo ha incontrato almeno ogni due mesi.
A Meloni e Salvini non dispiacerebbe lanciarlo nella mischia per il Colle. Non allo sbaraglio, ovviamente, bensì dopo un’intesa sul suo nome con la sinistra. Preliminarmente, però, occorrerebbe il passo di lato di Berlusconi.
La Stampa giura che il Cavaliere non ha alcuna intenzione di cedere il passo, neppure ad un esponente del centrodestra. È tuttavia evidente che i voti della coalizione, pur imponenti come non mai, sono insufficienti a fargli tagliare l’ambito traguardo. Persino dal quarto scrutinio in poi, quando ne basteranno 505. Oltre 50 in più dei 450 nella disponibilità di FdI, Lega, FI e altri centristi. È il motivo per cui nel prossimo vertice gli alleati chiederanno a Berlusconi di scoprire le sue carte. Se i voti ci sono, si andrà avanti sul suo nome. Altrimenti, si prenderà altro che bisognerà trovarne un altro. E quello di Frattini avrebbe più di una possibilità di riuscita.