L’agenzia Standard and Poor’s declassa l’Italia e porta il suo rating ad un solo passo dal junk, ultimo gradino prima che i Bot ed i Bpt vengano definiti “spazzatura” e costringono i fondi d’investimento ed i fondi pensione a liberarsi della loro esposizione sul nostro debito. In un comunicato l’agenzia spiega che il downgrade riflette “le perduranti debolezze nell’andamento del Pil reale e nominale, inclusa l’erosione della competitività”. Tali debolezze, aggiunge l’agenzia, stanno minando la sostenibilità del debito pubblico del paese. Sul fronte economico S&P prevede un’uscita dalla recessione nella prima parte del 2015, ma con una ripresa del Pil solo modesta, stimata attorno allo 0,2% per l’anno prossimo. Secondo S&P l’economia italiana continuerà ad arrancare il prossimo anno perché una bassa crescita unita ad una bassa inflazione spingerà in alto il debito. Sulla stima pesa una ripresa debole dei consumi privati, frenati da una difficile situazione del mercato del lavoro, con una disoccupazione ai massimi livelli storici. Per il governo, tra le righe, l’agenzia vuole dire che le riforme devono essere più veloci. Il rating è stato rivisto a tripla B meno ma viene lanciata una fune per risalire la china che passa per l’implementazione delle riforme, prima tra tutte la riforma lavoro, ovvero il Jobs act. In realtà i punti di vista di Renzi e di S&P sono distanti ed al momento inconciliabili: per l’agenzia il Jobs act non creerà lavoro nel breve termine ed il lavoro andrebbe svalutato attraverso l’abbassamento dei salari. In buona sostanza decentramento delle trattative salariali a livello aziendale. Il governo, invece, ci vuole arrivare attraverso una riduzione del carico fiscale, soprattutto Irap, ed aumentare il salario reale come, ad esempio, attraverso il bonus di 80 euro. In pratica la filosofia delle riforme è vista da due angolazioni diverse. Il premier Renzi, secondo S&P, ha compiuto “alcuni progressi con il suo Jobs Act, che punta a affrontare il dualismo del mercato del lavoro che ha generato un’alta disoccupazione giovanile”. S&P guarderebbe positivamente l’approvazione di una riforma del lavoro non annacquata come un importante segnale della determinazione del governo a perseguire precise politiche adatte ad un membro dell’unione monetaria. Dal 2006 ad oggi S&P ha abbassato il giudizio sull’Italia cinque volte, portando il rating da AA- all’attuale BBB-, con una riduzione complessiva di sei ‘notch’. L’ultimo taglio del rating ad opera di S&P risale a luglio 2013, con successive conferme nel dicembre 2013 e nel giugno di quest’anno.
Cocis