Dopo Volkswagen, Daimler e Volvo, anche Stellantis ha deciso di sospendere la produzione in Russia, nello stabilimento di Kaluga. La decisione, ufficializzata dal Ceo Carlo Tavares dopo l’annuncio diramato nelle scorse settimane, è stata presa per “tutelare i propri dipendenti” e “in seguito al quotidiano rafforzamento delle molteplici sanzioni e alle difficoltà logistiche riscontrate”.
Il colosso italiano, quarta casa automobilistica al mondo, ha approfittato dell’occasione per condannare ancora una volta la violenza e sostenere “qualsiasi azione che possa riportare la pace” in Ucraina. A parte Stellantis, sono però tante le aziende italiane ancora attive in terra russa.
Stellantis gestisce uno stabilimento per la produzione di furgoni a Kaluga, località a circa 125 miglia (201 chilometri) a sud-est di Mosca. Al suo interno circa 2.700 dipendenti assemblano Peugeot 408, Citroen C4 e veicoli commerciali destinati ai mercati dell’Europa occidentale. Nel 2021 Stellantis aveva però annunciato che entro la fine del 2022 avrebbe prodotto in Russia anche il minivan Fiat Scudo.
La struttura è in comproprietà con la casa automobilistica giapponese Mitsubishi. Anche quest’ultima ha interrotto la produzione nell’impianto all’inizio di aprile. Una decisione spinta anche da un fattore pratico: la produzione di furgoni era ormai rimasta appannaggio del solo mercato locale. Stellantis detiene inoltre solo l’1% del mercato automobilistico del Paese. La dirigenza ha stabilito che la produzione sarà spostata in Francia e Gran Bretagna.
Il comparto auto sta risultando particolarmente indigesto alla Russia. Oltre ai marchi citati, anche altre case automobilistiche hanno dichiarato lo stop ai loro stabilimenti nella Paese di Putin. Toyota ha sospeso le attività a San Pietroburgo, Renault a Mosca. Il gruppo francese detiene tuttavia una quota di maggioranza nel maggior produttore di auto russo, AvtoVaz.
Come riporta La Repubblica, l’annuncio di Stellantis ha acceso ulteriormente un faro sulle aziende italiane ancora attive in Russia. E che sembrano avere tutta l’intenzione di proseguire le attività. L’elenco pubblicato sul sito del Governo, alla voce infoMercatoEsteri, è davvero lungo.
La Pirelli ad esempio, che ha avuto in passato un legame con la Rosneft, ha fatto sapere che le due fabbriche di Kirov e Voronezh andranno avanti a produrre a ranghi ridotti perché “saranno progressivamente limitate a quanto necessario per garantire il finanziamento degli stipendi e dei servizi sociali per i 2.300 dipendenti“.
Il gruppo Maire Tecnimont, che ha sede centrale a Roma, ha comunicato una sistemazione del suo portafoglio ordini “tra la Russia e il resto del mondo, in primis in Medio Oriente”. La società avrebbe però interrotto le attività commerciali a Mosca e sta gestendo le code dei progetti esistenti. Dal canto suo Buzzi Unicem, dopo la chiusura dei due stabilimenti in Ucraina, continua invece a operare in Russia. Qui è attivo con 1.387 dipendenti e due cementerie.