Stellantis, tra risultati record e alleanza cinese per fabbrica di elettriche a Mirafiori

La strategia di Stellantis di prediligere i Paesi a basso costo di manodopera è sotto gli occhi di tutti. Un report di S&P Global citato da Milano Finanza prevede un calo del 12% della produzione italiana nel 2024, mentre la Francia vedrà un aumento del 2% sempre entro la fine dell’anno. La tensione venutasi a creare attorno al gruppo automotive, frutto della fusione tra Fiat Chrysler Automobiles (FCA) e PSA Groupe.

L’amministratore delegato Carlos Tavares ha ventilato un disinvestimento dagli impianti della nostra penisola, nel caso in cui il governo si rifiutasse di accordare gli ecoincentivi. A fronte di un miliardo di euro nel nuovo pacchetto, Giorgia Meloni e la sua squadra di lavoro non lo ritiene, tuttavia, il caso. Mentre si consuma lo strappo tra le parti chiamate in causa, resta da capire quali saranno le prossime mosse del colosso della mobilità. Di recente sono circolate pure le voci circa una fusione in atto con Renault. Uno scenario escluso in modo categorico da John Elkann, presidente del conglomerato, in quanto a capo dell’azionista di maggioranza Exor.

In realtà gli Elkann-Agnelli si sono resi artefici della più grande distruzione di un patrimonio italiano, quello del settore automobilistico che, ancora oggi, nonostante loro, sta dando lavoro a 400.000 italiani. Avevano trovato un manager, Marchionne, che, approfittando della crisi finanziaria Usa del 2009, raccolse l’opportunità insperata di inglobare il gruppo Chrysler con la Fiat, e si sono trovati nel piatto una fortuna troppo grande da gestire rispetto alle loro scarse capacità. Quindi, deceduto prematuramente Marchionne, hanno subito pensato di vendere e incassare quanto gli era piovuto dal cielo. La seconda risposta deve forzatamente riguardare quello che ingegneri, designer, tecnici e lavoratori hanno dato per anni alle aziende degli Elkann-Agnelli e, vendere dimenticandosi di loro, fa sprofondare una simile operazione nel girone degli avidi.

Nel Gennaio 2021, gli Elkann-Agnelli hanno operato una fusione col gruppo automobilistico francese Psa, senza precisare a nessuno che tale fusione nascondeva una vendita, con tanto di plusvalenze a loro vantaggio. Qualcuno aveva  pensato a una fusione, anche perché già tra Fiat e Chrysler ce n’era stata da poco una. Peccato che, in quel caso, il controllo dell’azienda era rimasto in mani italiane, mentre ora finiva in mani francesi. Infatti si capì subito dalle lettere minacciose ai fornitori dell’indotto italiani, dalla dismissione degli impianti industriali collocati sul territorio italiano, dai massicci investimenti in Francia e ovunque tranne che in Italia, dalla continua emorragia di posti di lavoro in Italia e dallo spostamento di modelli di autovetture italiane costruiti fuori dall’Italia. Mentre in Francia fioccavano nuovi investimenti, assunzioni, aumenti e premi salariali. In Italia mancavano forse gli impianti o tecnici e ingegneri di eccellenza? Per niente, decine di impianti per duecentomila metri quadrati erano e sono completamente vuoti e i bravissimi tecnici e ingegneri italiani vengono invitati a spostarsi in Francia per lavorare. Una vera beffa dopo che lo Stato italiano ha speso miliardi per formarli in istituti tecnici e università. Cosa c’era da capire di più con tutto questo?

Il governo col quale si concretizza la fusione-vendita ai francesi nel Gennaio 2021 è il governo Conte-PD e già questo doveva accendere tutti i dubbi. Anche la concessione di Autostrade alle aziende dei Benetton fu operata da un governo del PD a guida D’Alema. Ovviamente, il governo successivo di Draghi, non solo se ne sta rigorosamente in silenzio sull’argomento, ma offre pure 6,5 miliardi agli Elkann-Agnelli i quali, sfacciatamente, ne usano 5,5 per incassare le plusvalenze da fusione generate dalla vendita ai francesi. De Benedetti, dice che gli Elkann-Agnelli si sono comprati Repubblica per creare una cortina di silenzio sull’operazione di vendita ai francesi e Landini veniva continuamente intervistato da Repubblica, ma non parlava. Poi, al giudizio di De Benedetti si è accodato anche Calenda. Ovviamente De Benedetti lo dice con colpevole ritardo. Come colpevole è il ritardo dei vari Montezemolo, Bonanni di Confindustria, del Sole 24 ore di Confindustria e del vescovo di Torino Roberto Repole. Solo alla fine del 2023 se ne escono fuori a denunciare il misfatto dopo quasi tre anni di prepotenze francesi. E il governo Meloni? E Fratelli d’Italia che prima era all’opposizione, che hanno detto durante questi tre anni? Assolutamente niente

La legge morale, ma anche il codice civile, dice che, chi si dimostra indegno di una donazione ricevuta, la deve restituire. Gli Elkann-Agnelli hanno ricevuto dal 1974 220 miliardi di euro dagli italiani, praticamente quello che è diventato tutto il loro patrimonio personale, e ora, per indegnità, li devono restituire. Vanno individuate tutte le loro proprietà in Italia e, forse meritoriamente, la Procura di Torino sta facendo un’indagine su tutte le fiduciarie che schermano le operazioni di quelle famiglie. Sequestriamogli tutto e poi fuori dall’Italia, che se ne vadano a vivere in Francia.

Le date sono vicine: si parla del 2026 o 2027 per l’inizio della produzione di auto elettriche italiane presso lo stabilimento di Mirafiori (attualmente in cassa integrazione dove sono prodotte la Fiat 500e e Maserati) in collaborazione con Leapmotor, un partner con cui Stellantis ha stabilito un accordo a ottobre 2023 comprando una quota del 21% dell’azionariato. Le due aziende hanno formato una joint venture con sede in Olanda che si chiama Leapmotor International controllata da Stellantis. Con questa quota di partecipazione e l’apertura verso l’Europa di fatto Leapmotor diventa il 15° marchio nel portfolio di Stellantis

Un annuncio che è già potrebbe essere già una reazione a quanto annunciato dal Ministro Aldolfo Urso che ha invitato “altri costruttori” a venire in Italia per costruire auto e poter godere di incentivi alla produzione nel nostro Paese.

Circa i modelli da produrre non ci sono informazioni, ma l’ordine di grandezza è attorno ai 150.000 pezzi l’anno e fino ad oggi la Casa cinese ha messo a punto un paio di modelli di elettriche adatte per l’esportazione, la suv C10 presentata al Salone di Monaco lo scorso anno e la piccola T03.

La possibile destinazione di Mirafiori a servire come stabilimento “satellite” di Leapmotor International è una strategia già vista, messa in atto anche da BYD con l’annuncio dell’apertura di una fabbrica in Ungheria. Producendo in Italia, vengono evitati i dazi doganali attuali (10%) e i costi di trasporto, oltre che aggirate le penalizzazioni che alcuni Paesi come la Francia stanno mettendo in atto contro i produttori extra EU, oppure la concessione di incentivi solo ai marchi che producono nel Vecchio Continente. L’augurio, naturalmente, è che Mirafiori non si trasformi in una fabbrica “cacciavite” sullo stile della DR ma che continui ad essere un centro di eccellenza nella ricerca e sviluppo di nuove auto com’è stata in passato.

Le condizioni perché il progetto Mirafiori – Leapmotor si realizzi, ha detto Carlo Tavares, sono che “dipende da noi (italiani) dalla nostra competitività sui costi e sulla qualità. Dovremo cogliere l’occasione ad un certo punto”, un rimando nemmeno tanto vago alla disponibilità del Governo a concedere in fretta facilitazioni economiche al Gruppo e incentivi. Nel modello di business descritto in passato da Tavares, però, gli stabilimenti italiani sono riservati ai modelli con ampi margini di guadagno perché i costi generali (lavoro, trasporti, energia) sono molto elevati rispetto ad altri Paesi dell’Unione europea.

Un modello simpatico e forse più rispondente alla domanda attuale del mercato delle elettriche economiche è già in produzione negli stabilimenti cinesi Leapmotor (che è uno dei più piccoli produttori del Dragone): si tratta della cittadina T03 da 3,6 metri (come una Panda) ma con 400 km di autonomia che è già in vendita in Francia attraverso un piccolo importatore a 20.000 euro.

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