Sono otto i detenuti che si sono tolti la vita da inizio anno al 17 febbraio scorso, mentre 21 è il totale dei decessi avvenuti nelle carceri, di cui 9 per cause ancora da accertare.
Dal 2000 al febbraio 2012, si sono tolti la vita 700 detenuti e ammonta a 1.954 il totale dei “morti di carcere”.
Il capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburrino, con l’obiettivo di prevenire e ridurre questi tragici episodi, con il provvedimento del 2 marzo scorso, ha disposto con effetto immediato la riattivazione dell’Umes, l’unita’ di monitoraggio degli eventi di suicidio, che aveva attivato nel 2001, anno in cui si toccò un picco di 69 casi di suicidio. L’ unità di monitoraggio è composta da Simonetta Matone, vice capo dipartimento, Luigi Pagano, vice capo dipartimento, Calogero Piscitello, direttore generale del personale e Pietro Buffa, direttore della casa circondariale di Torino.
L’ Umes ha l’incarico di verificare l’applicazione e l’efficacia delle direttive emanate dal Dipartimento, a partire dal 2000 per la prevenzione del fenomeno.
Il carcere fa vittime non solo tra i carcerati ma anche tra i secondini:dal duemila ad oggi, 85 per suicidio e 6 per incidenti sul lavoro. I numeri sono della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato.
Per Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, l’Umes ”è uno strumento che serve, ma una buona efficienza penitenziaria -sottolinea, può avere una grande capacità dissuasiva rispetto ai tentativi di suicidio. Dobbiamo per esempio facilitare la possibilità per i detenuti di telefonare e parlare con i propri parenti, nei momenti in cui ne hanno bisogno”. ”Un detenuto al quale viene in mente di togliersi la vita ed e’ disperato -sottolinea Gonnella- e telefonando a una persona che lo ascolta, può essere una madre o una moglie, potrebbe svelare quella sua disperazione oltre che trovare elementi che possano dissuaderlo dal proposito. Se invece la telefonata si fa solo la mattina alle 10 questo non potrà mai avvenire”.