Stress e autofagia

Lo  stress è una  ‘condizione aspecifica’ in cui si trova l’organismo quando deve adattarsi alle esigenze imposte dall’ambiente, ossia una reazione che ognuno di noi ha di fronte a diverse richieste, difficoltà o prove.

Quindi, lo stress non è sempre negativo.  Sperimentiamo infatti forma di stress positiva, l’eustress, quando uno o più stimoli allenano la nostra capacità psicofisica di adattamento, permettendoci di mantenere la sensazione di controllare l’ambiente che ci circonda con tutte le sue diverse richieste. Si tratta quindi di un livello di attivazione funzionale che ci permette di affrontare difficoltà e prove, facendoci raggiungere obiettivi importanti. Pensiamo per esempio allo stress pre-esame di uno studente: se contenuto a un livello accettabile, gli permetterà di essere più concentrato sul compito e arrivare preparato e concentrato al giorno della valutazione.

Ma se la reazione di stress raggiungerà dei livelli troppo elevati tali da portare lo studente a perdere il controllo su di sé, la concentrazione e la motivazione, questa attivazione diventerà disfunzionale e si parlerà di distress, ossia di stress negativo. Lo stress diventa negativo quando questa normale reazione di adattamento diventa troppo intensa, o prolungata nel tempo, portandoci così alla percezione di non avere più il controllo su ciò che ci sta succedendo. Questa attivazione disfunzionale, se protratta nel tempo, può portare a un esaurimento progressivo delle risorse fisiche e psicologiche dell’individuo.

Gli eventi stressanti, detti anche stressors, possono essere fisici, sociali  o psicologici. Il potere stressante dipende molto da come questi vengono valutati da ogni singolo soggetto, in base alla sua personalità e storia di vita. Il grado in cui un evento è considerato stressante, infatti, varia da individuo a individuo, a seconda di quanto lo percepisca controllabile, prevedibile, e quanto una sfida alle proprie capacità e al concetto di sé.

Indipendentemente dalla natura dell’agente stressante  il nostro corpo, quando percepiamo una minaccia, reale o no,  reagisce sempre nello stesso modo, ossia attivando una reazione automatica e indipendente dalla nostra volontà, che ci ha permesso, nel corso delle nostra storia evolutiva, di sopravvivere ai pericoli: la risposta di attacco e fuga.

Ogni volta che siamo stressati, quindi, indipendentemente dalla nostra volontà, nel nostro corpo si attiva la risposta di attacco-fuga, controllata dal sistema nervoso autonomo simpatico e dal sistema cortico-surrenale, che generano nel nostro corpo molti cambiamenti:  Il battito cardiaco aumenta perché il cuore deve lavorare maggiormente per pompare più sangue, ossigeno e zucchero per fornire maggiore energia al corpo, e di conseguenza aumenta anche la pressione sanguigna. Dal momento che quando siamo in pericolo il nostro organismo disattiva tutti quei sistemi che non sono assolutamente necessari alla sopravvivenza, il processo della digestione viene rallentato perché il corpo riduce l’apporto di sangue agli organi digestivi. Quindi, anche se si fa sport e si mangia cibo sano, se siamo costantemente stressati il nostro corpo non sarà in grado di digerire propriamente il cibo e di estrarne i nutrimenti necessari perché la nostra digestione sarà rallentata.

Anche il sistema immunitario, così come quello digestivo, viene disabilitato quando siamo sotto stress e questo vuol dire che quando siamo sotto stress prolungato siamo molto più vulnerabili alle malattie.

A prescindere da quanto elencato a volte un po’ di stress  è salutare  perché  aiuta a difendersi meglio la prossima volta. Gli scienziati del ‘Sanford Burnham Prebys Medical Discovery Institute’ (Sbp) hanno individuato il meccanismo biologico che trasforma i lievi traumi per l’organismo in opportunità di rafforzamento. Secondo lo studio pubblicato su ‘Nature Communications’ tutto dipende dal processo cellulare noto come ‘autofagia’. Una trovata dell’organismo per riciclare parti vecchie, danneggiate e non necessarie delle cellule per poi riutilizzarle nella costruzione di nuove molecole o bruciarle per produrre energia. Il processo, già noto per essere associato alla longevità, viene ora collegato anche alla resistenza allo stress.

Per gli  esperimenti, i ricercatori si sono serviti dei vermi C. elegans ampiamente sfruttati dai biologi come organismi modello per la loro caratteristica di essere trasparenti e quindi perfetti per mostrare cosa accade al loro interno. Inoltre molti geni, e  vie di comunicazione, molecolare sono simili a quelle degli esseri umani.

Gli scienziati hanno esposto  i vermi per un’ora a una temperatura di 36°, ben al di sopra di quella a cui erano abituati, mimando così una situazione di stress non prolungato e non eccessivamente violento. Gli animali hanno reagito aumentando i processi di autofagia nei tessuti. Gli scienziati hanno scoperto che esponendo allo shock termico i vermi geneticamente modificati nei cui tessuti si sviluppava l’aggregazione delle proteine tipica della malattia, il numero di proteine aggregate si riduceva.

Naomi Sally Santangelo

 

 

 

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