Tariffe, regole per la concessione e, a cascata, valore della società. Sono solo alcune delle variabili nella complessa partita che gira attorno ad Aspi e alla gestione di 3mila chilometri di autostrade in Italia. Una partita nella quale anche il fondo australiano Macquarie sarebbe interessato a giocare un ruolo, anche di primo piano. E il tempo per arrivare a una soluzione stringe.
Il governo ha confermato l’ultimatum alla società del gruppo Benetton e aspetta una nuova proposta “vantaggiosa per lo Stato” già sabato, da portare all’esame del Consiglio dei ministri in settimana, probabilmente martedì.
Il consiglio di amministrazione sia di Autostrade per l’Italia sia della capogruppo Atlantia sono allertati e, come già successo in passato, potrebbero rimanere aperti per seguire l’evoluzione della trattativa. Mantenere il controllo di Aspi non è più una pregiudiziale, e il gruppo starebbe trattando le condizioni del disimpegno che il Movimento 5 Stelle vorrebbe totale.
Nella lettera che l’amministratore delegato di Atlantia sta mettendo a punto su incarico del consiglio di amministrazione ci sarebbe, secondo indiscrezioni riportate dalla Reuters, l’apertura a scendere sotto il 50% di Aspi per fare posto a un investitore sostenuto dallo stato.
Fra le ipotesi c’è anche quella di una discesa sotto il 30%, ipotizzando un aumento di capitale che consentirebbe di diluire le quote di Atlantia – che oggi detiene l’88% – e di conseguenza dei Benetton, che di Atlantia sono azionisti di riferimento con il 30% e sono fin dal crollo del Ponte Morandi nel mirino dei 5S. La società è ovviamente interessata a trovare un compromesso che salvaguardi Aspi, consapevole che l’alternativa della revoca oramai non è più un tabù nemmeno nell’ala più moderata della maggioranza di governo.
Certo, il nodo del prezzo è tutto da risolvere e, per la holding, uno dei temi cruciali resta quello di sterilizzare o superare le norme del decreto Milleproroghe, che hanno aperto la strada alla ipotesi di revoca e sono costate ad Aspi il rating junk, che non permette più alla concessionaria autostradale di finanziarsi. L’altro obiettivo è quello di trovare un punto di caduta tra investimenti, tariffe e penali per fare in modo che l’azienda mantenga un suo equilibrio economico, finanziario e patrimoniale.
Il piano da 2,9 miliardi elaborato a marzo è stato respinto dall’esecutivo che avrebbe chiesto, come base del negoziato, un adeguamento delle tariffe a quanto stabilito dall’Autorità per i Trasporti (con remunerazione degli investimenti effettuati) e conseguente riduzione dei pedaggi del 5-10% e almeno 2 miliardi di risarcimento danni.
Nello schema dell’intesa ci potrebbe essere anche l’intervento indiretto da parte dello Stato attraverso una cordata guidata da Cdp, che potrebbe fare una operazione di conversione del debito, cui si potrebbero affiancare altri fondi: già in passato si è parlato di F2i ma anche degli australiani, particolarmente attivi nel nostro Paese nell’ultimo periodo (interessati ad esempio anche alla quota di Enel di Openfiber). Anche in questo caso però i nodi sarebbero il prezzo e la stabilità del quadro regolatorio legato alla concessione. In questo caso lo Stato si assumerebbe il ruolo di ‘arbitro’ dell’operazione, anche se rimarrebbero dubbi da parte di alcuni sull’opportunità del coinvolgimento di un fondo estero in un settore così strategico.