Non diserta la discussione per disinteresse, ma è consapevole che la decisione non dipende dalla sua volontà. Finirebbe nel tritacarne dei partiti con il rischio di finire impallinato. Nei partiti come in Parlamento e persino nel Consiglio dei Ministri, se il suo nome fosse proposto per la Presidenza della Repubblica finirebbe in minoranza. E questo per diverse ragioni: c’è chi vagheggia il primato della politica, chi non sopporta più di accettare le decisioni del Governo come dei dictat, chi non vorrebbe tornare prima a casa, in poche parole il consenso su Draghi perché rimanga a Palazzo Chigi si allarga sempre di più. Ma al di là dei rumors all’interno e all’esterno dei palazzi del potere, si avverte una percezione che alla fine si arriverà a lui per il Quirinale. Ad un attento osservatore non sfugge il fatto che i partiti con la scelta del Capo dello Stato vogliono trarre benefici e nel contempo evitare guai. Primo fra tutti il Pd che non potendo imporre un nome alla Presidenza della Repubblica, mira a raccogliere i consensi intorno ad un candidato tale da evitare divisioni interne che potrebbero pregiudicare la leadership del suo segretario, Enrico Letta. Sono ormai lontani i tempi di quando si candidava Prodi quale leader dell’intera colazione di centrosinistra. Secondo alcune voci autorevoli tra i dem, il timore è che ad oggi gli unici grandi player sono Il Premier e Silvio Berlusconi. Paradossalmente più prende quota la candidatura del Cavaliere, più Mario Draghi ha chance per varcare la soglia del Colle più alto. A questo punto Salvini si ritroverebbe la patata bollente in mano nel senso che se andasse Draghi al Quirinale e una parte del centrodestra appoggiasse un nuovo governo, lui sarebbe giocoforza costretto a rompere la coalizione per non lasciare la Meloni da sola a gestire l’opposizione. Ed è per questo che qualche giorno fa ha lanciato una sorta di accorato appello al Premier perché non molli il timone di Palazzo Chigi. Non era certamente un veto ma un segnale che se Draghi intende salire al Colle deve mettere in conto di sciogliere subito dopo le Camere e mandare il Paese ad elezioni anticipate. Renzi ipotizza già giugno 2022.Per sovvertire il pronostico occorrono un nome e numeri certi. Si sa che dopo le prime votazioni potrebbe accadere di tutto. E questo fa capire e comprendere l’ansia dei partiti di conoscere l’opinione del Premier che in vece non parla. Ma essendo lui un uomo scaltro e raffinato anche politicamente, di certo starà preparando tutte le sue mosse e ritengo che anche se velatamente, un’anticipazione le avremo nella conferenza stampa di fine anno. Di certo dirà che la legislazione non va interrotta con magno gaudio di quelli che sanno di non essere più rieletti, ma sarà una gioia effimera che durerà fino all’elezione per il Quirinale.
Andrea Viscardi