Contrariamente agli auspici, il tema del referendum settembrino sul taglio dei parlamentari non passa in sordina e agita il Pd. Proponendosi – nelle migliori tradizioni a sinistra – come elemento di divisione. Con l’aggiunta di diversi elementi di confusione.
In realtà il tema del referendum settembrino sul taglio dei parlamentari agita il Pd.
Ufficialmente il Partito Democratico è schierato a favore della riforma in vista del referendum confermativo di settembre. Ma non c’è grande entusiasmo per questa novità che si preannuncia significativa, se non altro perché cambierà la formazione parlamentare e anche quella dei collegi elettorali per il Senato.
Per questo, il segretario dem è tornato a insistere sulla necessità di una nuova legge elettorale prima di andare a votare per il referendum:
“Le preoccupazioni espresse da molte personalità…sul pericolo di votare a favore del referendum sul taglio ai parlamentari senza una nuova legge elettorale, sono fondate e sono anche le nostre. Rinnovo dunque l’appello alla collaborazione, a partire dal testo condiviso dalla maggioranza, si arrivi entro il 20 settembre a un pronunciamento di almeno un ramo del Parlamento”
La proposta di Zingaretti è appoggiata dal partito, ma non considerata così strategica e impellente da altri membri del Governo. In primis Italia Viva, che con Renzi insiste sul maggioritario e con Rosato boccia il tema, considerato non prioritario in questo momento per l’Italia.
Il rischio, quindi, è che si arrivi alle urne di settembre senza l’obiettivo raggiunto da Zingaretti e con maggiori propensioni di voto al no tra i dem.
Non c’è grande compattezza sul tema referendum per il taglio dei parlamentari nel Partito Democratico. Probabilmente perché la battaglia sulla riduzione di senatori e deputati è stata del Movimento 5 Stelle, non certo dei dem.
Il Partito Democratico, come già ha abituato in altre occasione, sul taglio dei parlamentari non ha ancora trovato l’unità.
Agganciare una riforma costituzionale di tale impatto a una legge ordinaria rischia di perpetuare almeno sulla carta il “pericolo democratico”.
Giorgio Gori, sindaco di Bergamo e capofila del No twitta: “Senza legge elettorale, dice il segretario, il taglio è pericoloso. Ma le leggi elettorali si fanno e si disfano. Dal 1990 ben quattro volte. E’ quindi probabile, sempre che adesso si riesca a votare il proporzionale prima del 20 settembre che in futuro cambi ancora. Dobbiamo pensare che il taglio dei parlamentari diventi a quel punto pericoloso per la democrazia?”.
Sulla linea zingarettiana c’è Piero Fassino, fresco di elezione alla guida della commissione Esteri di Montecitorio: “Dobbiamo tentare in tutti i modi di arrivare al voto sulla legge elettorale concordata all’interno della maggioranza, altrimenti si porrebbe il problema di territori privi di rappresentanza parlamentare. Se sarà impossibile valuteremo, perché cambierebbe il quadro di riferimento”. L’ex sindaco di Torino non vede invece incongruenze tra il diverso rango delle due leggi: “E’ ovvio che la legge elettorale può cambiare, ma l’importante è che a quel punto sia funzionale al mutato assetto parlamentare e al dettato costituzionale, come è avvenuto in passato. Il problema non sussiste”.
Andrea Romano, ex direttore dell’Unità renziana, voterà Sì alla riforma “anche se la declinazione dei Cinquestelle non è la nostra: la questione dei costi è una minima parte, qui si parla di efficienza del Parlamento. Ma servono contrappesi quali la legge elettorale e la riforma dei regolamenti parlamentari”. Il tema della discrasia tra legge costituzionale e ordinaria esiste: “Certo, se domani vincessero Matteo Salvini e Giorgia Meloni niente impedirebbe loro di cambiare il sistema elettorale. Il problema c’è. Sarebbe giusto introdurre il controllo preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali. A mio avviso serve il modello spagnolo o il proporzionale con soglia di sbarramento al 5% di cui si discute adesso”. Il punto, però, resta politico: “La posizione di Bettini è quella del “trattino” – spiega il deputato – del Pd che rinuncia alla vocazione maggioritaria. Ma oggi che al centro non ci sono i Popolari bensì un’accozzaglia di partitini personali si porrebbe un problema di governabilità”.
Michele Bordo, vicecapogruppo Pd a Montecitorio scheriato per il Sì, se la prende con Tommaso Nannicini per l’intervista a HuffPost: “Il taglio era un punto dell’accordo di governo insieme alla nuova legge elettorale. Non ricordiamo una sua battaglia, o di altri, per elezioni anticipate. Il compromesso andava bene a tutti allora, oggi invece qualcuno nascone la mano”.
A metà strada l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano: “Sto studiando a fondo gli argomenti. Ma mi convinco sempre di più che senza una legge elettorale diversa dal Rosatellum la riforma sarebbe pericolosa. Quindi, ho forti dubbi”. E la legge elettorale? “E’ evidente che può cambiare a seconda dei governi. Avere il cambiamento di legge prima del voto referendario sarebbe salutare per metterci relativamente al riparo. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”.