L’abbassamento della “tampon tax” al 5% era arrivato, all’inizio di quest’anno, come un necessario passo avanti verso l’allineamento dell’Italia con le politiche europee per la parità di genere, ma già rischiamo di perdere quanto conquistato in anni.
Il governo Meloni torna sui suoi passi e dichiara di non voler confermare il taglio dell’IVA sui prodotti per l’infanzia e l’igiene femminile. Le motivazioni di questa scelta si rifanno allo scellerato rialzo dei prezzi nella grande distribuzione che, secondo i dati Istat, non ha comunque permesso ai consumatori di beneficiare della manovra. Perciò, l’aliquota su assorbenti, pannolini e prodotti per la preparazione alimentare per l’infanzia torna al 10%.
A questa notizia, si associa, poi, il sesto rinvio sia della “plastic tax” che della “sugar tax”, delle quali si sente parlare dal 2019 senza che siano mai effettivamente entrate in vigore e che, con questo ennesimo rinvio, rischiano di essere completamente abolite entro il 2024.
È indubbio che manovre di questo calibro siano anche e soprattutto simboliche, per uno Stato: ne delineano le priorità e la visione futura, a questo punto non esattamente rassicurante per i cittadini. Perché è ormai chiaro davvero a tutti che la crisi climatica va contrastata ad ogni costo, ma in un paese fragile, ormai soggetto quasi giornalmente a catastrofi, come il nostro, voltarsi dall’altra parte significa tentare di fuggire da uno tsunami alto venti metri.
Nel Documento programmatico pluriennale della Difesa per i prossimi due anni, i fenomeni legati al surriscaldamento globale vengono identificati come possibili minacce alla sicurezza del Paese, in grado di destabilizzare la società, incidere negativamente sullo sviluppo economico (già precario) e alimentare conflitti.
La plastica non è l’unico problema, ma è uno dei pochi su cui possiamo avere pieno ed immediato controllo. L’unione europea già prevede una tassa di 80 centesimi per ogni chilogrammo di plastica non riciclata e non riciclabile: nel 2021, la plastica è costata all’Italia 744 milioni di euro. Inserire la “plastic tax”, interna allo Stato, significa incoraggiare la produzione di materiali riciclabili (non tassabili, chiaramente) e diminuire significativamente le uscite.
Non solo: la vecchia aliquota sui prodotti di igiene femminile e per l’infanzia va comunque ad incidere su famiglie che spendono circa 5mila euro in più, rispetto allo scorso anno, per l’istruzione dei propri figli e su donne che vengono pagate uno spaventoso 45% in meno dei loro colleghi uomini. Da ricordare che, spesso, le due categorie fanno riferimento ad uno stesso bilancio economico familiare, il quale risulta doppiamente danneggiato.
E se è vero che assorbenti e pannolini sono prodotti monouso con un’importante percentuale di plastica, è anche vero che sono riciclabili: è italiano il primo impianto industriale in grado di convertirli in 150 Kg di cellulosa, 75 Kg di plastica e 75Kg di polimero super assorbente per ogni tonnellata riciclata.
Puntare sulla tassa giusta fornirebbe, quanto meno, una protezione dallo tsunami, oltre che rendere orgogliosi i cittadini italiani di vivere in un paese attento alle loro esigenze.
di Alice Franceschi