Certi umani destini sembrano aderire più alle fiction blockbuster che alla vita reale. Storie in cui la sorte può lusingarti smisuratamente, strizzarti non uno ma entrambi gli occhi per gran parte della tua esistenza, agevolandoti non solo nell’accumulare e godere di ricchezze, ma anche nel realizzare progetti assolutamente fuori dal comune, solitamente non alla portata di una singola persona. In altre parole, concederti tanto, tutto. Poi, d’un colpo, stop! Stroncarti d’improvviso la vita, privandoti della possibilità di godere almeno per un po’ della “creatura” che hai appena generato. Questo il “plot” esistenziale della miliardaria austriaca Heidi Goëss-Horten, morta improvvisamente all’alba del 12 giugno scorso, pochi giorni dopo l’inaugurazione della sua creatura, per l’appunto: un museo privato d’arte moderna e contemporanea, a cui ha dato orgogliosamente il proprio nome, Heidi Horten Collection, con il privilegio di trovarsi nel cuore di Vienna, tra il Museo Albertina e il Teatro dell’Opera. Acquartieramento ideale per esibire una collezione immensa d’arte moderna e contemporanea, definita da esperti come la raccolta “privata” più ricca nel suo genere. Parliamo di cento anni di capolavori, un condensato di storia dell’arte moderna internazionale che nessun’altra istituzione austriaca può vantare, comprendendo opere significative che vanno da Klimt a Schiele, da Chagall a Picasso, Warhol, Richter, Baselitz e così via. Il museo vanta una struttura nuova dentro mura antiche, 1500 metri quadrati di superficie espositiva, dislocati su tre piani, più altre sale minori, quindi un complesso non di grandi dimensioni, che non può contenere simultaneamente la vastità dell’intera collezione. Ragione per cui l’istituzione ha in programma un susseguirsi di mostre, le quali di certo contribuiranno ad arricchire costantemente il panorama artistico di Vienna.
LA STORIA DI HEIDI GOËSS-HORTEN
Heidi Goëss-Horten, nata a Vienna nel 1941, era l’erede unica del defunto marito Helmut Horten, scomparso nel 1987, ricchissimo e scaltro uomo d’affari tedesco, classe 1909, conosciuto quasi per caso a diciannove anni, divenendone consorte nel ‘66, e trascorrendo insieme a lui un’autentica vita da favola. Una favola che per lei, dopo il lutto, proseguì nei decenni successivi, trascorrendo il tempo tra le proprie residenze in vari luoghi del mondo. O – perché no! – in crociera con il suo Carinthia VII, un gingillo galleggiante che in rete viene descritto come “uno dei più grandi yacht di lusso al mondo e certamente uno dei più belli”. Poi l’arte. Heidi ha cominciato a interessarsene all’inizio degli Anni Novanta. “Ho scoperto la passione per il collezionismo” – ha rivelato alla vigilia dell’inaugurazione del museo – “quando ho dovuto ritrovare me stessa dopo la morte del mio primo marito [Helmut Horten, N.d.R.]. L’arte è stata una parte importante della mia vita anche nell’infanzia: a quel tempo mio padre, disegnatore tecnico e incisore, era solito farmi dei ritratti, e io molto tempo dopo ho riscoperto la pittura”. Si è sempre definita una Augenmensch, una persona che ha occhio e intuito, senza basarsi su strategie di mercato. Ma è altrettanto vero che come consulente ha avuto una storica d’arte di talento e di mestiere, molto nota nell’ambito viennese e non solo, e che, non per nulla, oggi si trova a essere la direttrice del suo museo. Un personaggio chiave, insomma, che risponde al nome di Agnes Husslein-Arco, con invidiabili cariche di prestigio nella sua carriera, tra cui, dal 1981 al 2000, quella di amministratore delegato di Sotheby’s Austria; fondatrice nel 2003 del Museum der Moderne di Salisburgo, essendone stata anche direttrice fino al 2005. Divenendo infine, dal 2007 al 2016, la direttrice del Belvedere, come dire: un impero di strutture museali, tenendolo in pugno con autorevolezza, non senza procurarsi qualche inimicizia all’interno dello staff.
LO SPETTRO DEL NAZISMO
Intorno a tanta fortuna finanziaria ereditata dal defunto marito aleggia una imbarazzante storia che risale agli anni bui della Germania hitleriana, giacché Helmut Horten, di famiglia alto borghese, divenne proprietario di svariati grandi magazzini espropriati a famiglie ebraiche, ottenendoli a basso costo grazie alle sue aderenze nel partito nazionalsocialista. Lui stesso provvide poi alla “arianizzazione” delle aziende, licenziando i dipendenti ebrei. Dopo la guerra fu processato e dovette espiare con due anni di prigione; al rilascio, riprese in mano gli affari incrementando oltremodo il proprio capitale, da abile affarista qual era. Ovviamente, la pubblicità data alla ricca iniziativa museale non poteva che riportare alla luce talune indegne modalità di profitto. L’ereditiera ha voluto rispondere incaricando uno studioso, il prof. Peter Hoeres dell’Università di Würzburg, per condurre un’indagine sui trascorsi del vecchio marito, con l’intento di riscattarne il cattivo ricordo, ma l’esito ha confermato quanto già era noto.
IL MUSEO AL SUO PRIMO ATTO
La trasformazione museale degli spazi in Goethestrasse è stata eseguita, dietro concorso, dallo studio viennese The Next Enterprise, il cui intervento interno risulta alquanto scenografico. Concepita invece dagli artisti Markus Schinwald e Hans Kupelwieser la Sala da tè. La mostra inaugurale, intitolata Open, si concentra proprio sul pregio dell’architettura, ben esaltata dalla scelta di posizionare nel percorso talune particolari sculture, opere luminose o sonore e installazioni. Ventisei gli artisti, tra cui nomi importanti come Basquiat, Boetti, Flavin, Fontana, Hirst, Kosuth, Quinn, Rauschenberg, Wurm. Nell’insieme, dunque, un preludio accattivante per le mostre a venire.
- By Franco Veremondi – artribune.com