Si fa un gran parlare di Metaverso, cioè dell’insieme di mondi virtuali interconnessi che prima o poi dovremmo trovarci a frequentare, rappresentati dai nostri avatar incorporei. Eppure, dopo aver assistito alla proiezione di Tomorrow Living, si è portati a pensare che l’elemento centrale del ragionamento, la chiave di volta dalla quale non è possibile prescindere neppure nel momento in cui gli spazi domestici tendono a rimpicciolirsi mentre quelli digitali si ampliano a dismisura e l’estetica del metaverso contamina la realtà con i suoi colori pastello e le sue forme che sembrano sfidare la gravità, sia sempre e comunque il corpo umano. È sulla nostra fisicità, infatti, che vengono “cuciti” i cocoon esperienziali che promettono di aiutarci a concentrarci o addirittura a meditare (come la Ming Shan Digital Experience ideata dai ricercatori dell’ECAL di Losanna del Politecnico locale in collaborazione con il più grande centro di meditazione taoista europeo), ed è ai nostri tratti che si ispirano gli sviluppatori dei robot che in un prossimo futuro abiteranno le nostre case o ci aiuteranno nella cura dei malati e degli anziani, in modo che gli utenti li percepiscano come una presenza relativamente familiare.
IL FILM: DALL’AMBITO DOMESTICO AI QUARTIERI CONNESSI E SOSTENIBILI
Lo scopo di questo lavoro, prodotto dal Huawei Milan Aesthetic Research Center, il braccio milanese di ricerca e sviluppo sul design del gigante delle telecomunicazioni cinese, in collaborazione con il centro di cultura digitale MEET, è di riflettere intorno al potenziale degli ambienti e degli oggetti intelligenti in relazione all’abitare, un tema complesso che tende a generare un groviglio pressoché inesauribile di questioni. I quattro capitoli del documentario curato dal giornalista olandese Robert Thiemann, tra le altre cose fondatore della rivista di interior design Frame, con le voci di oltre trenta architetti, designer, artisti e scienziati, non forniscono una risposta definitiva alla domanda “Come vivremo domani?”, ma una costellazione di spunti utili per comprendere in quali direzioni si stia muovendo la ricerca e come sarebbe più opportuno orientarla per raggiungere certi standard di benessere diffuso e sostenibilità.
Cocoon per meditazione sviluppato dall’ECAL e dal Politecnico di Losanna, MING SHAN DIGITAL EXPERIENCE EPFL+ECAL LAB
PAROLA D’ORDINE MULTIDISCIPLINARIETÀ
Rispetto agli esordi dell’internet of things, nei primi anni Duemila – l’espressione è stata pronunciata per la prima volta per la prima volta nel 1999, dall’ingegnere britannico Kevin Ashton, uno dei fondatori dell’Auto-ID Center del MIT, riferendosi a un tostapane – non si tratta più soltanto di conquistare territori vergini sviluppando device sempre più potenti e performanti, ma di capire quale impatto queste tecnologie possono avere sulle nostre vite e in quale modo sfruttarle al meglio per costruire la società di domani. Per questo, come sottolinea per esempio Michele De Lucchi che nel suo studio aMDL Circle ha giocato fino in fondo la carta della multidisciplinarietà, i progettisti devono lavorare a stretto contatto con esperti delle più svariate discipline, dalla filosofia all’antropologia. “La tecnologia è un driver che può risolvere molti problemi se sfruttata con pensiero critico, creatività e spessore culturale”, spiega la fondatrice del MEET Maria Grazia Mattei, parte attivissima del progetto Tomorrow Living. “Ci piace pensare a progetti di collaborazione, co-creazione e co-partecipazione”.
LA “CASA GLOBALE” FIRMATA SPACE POPULAR
A dare un’idea di come potrebbe essere la casa del futuro è anche l’installazione polisensoriale The Global Home dello studio Space Popular, che mette in scena una serie di stanze interconnesse in cui una serie di avatar virtuali vive e lavora. Lo spazio è in continuo movimento e si adatta continuamente alle necessità dei suoi abitanti, mentre in esso convivono elementi “metafisici” (forme geometriche o astratte, paesaggi lunari, grandi fogli Excel) e classici del design che il nostro occhio riconosce facilmente come il divano Chesterfield o la Vespa. Le tecnologie immersive rendono visibile la fitta rete di interazioni digitali che fa già parte del nostro quotidiano, ma per il momento rimane celata nei nostri computer o smartphone.
By Giulia Marani – -artribune.com