Tartaglia Arte: Fase Due (VII). Connessioni

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, l’articolo ricevuto da Tartaglia Arte:

“L’EVOLUZIONE È CONNESSIONE, FUSIONE, INTROMISSIONE, INTERSEZIONE. NON C’È DISTINZIONE TRA RUMORE E SUONO, TRA OPERA E MONDO, TRA ARTE E VITA”. NUOVI SPUNTI E RIFLESSIONI DI CHRISTIAN CALIANDRO PER ANALIZZARE LE DINAMICHE, ARTISTICHE E NON SOLO, DELLA FASE DUE.

Riconosco un attrito fondamentale tra me e il mondo, tra me e la realtà, tra me e la mia epoca. Devo dire che mai come ora, forse, rifiuto categoricamente il presente e le sue declinazioni, le sue caratteristiche, le sue qualità. Io mi ribello nei confronti del presente, del mio presente. (Del suo essere così irrimediabilmente cheap: fuori all’apparenza è tutto nuovo di zecca – poi guardi bene ed è tutto dozzinale, un rottame, fatto con materiali scadenti. Il presente è così: nella politica, nella società, nella cultura, nell’arte: all’esterno scintillante, lussuoso, ricco; all’interno squallido, povero, miserabile.) Ne vorrei fortemente un altro – solo che non c’è un altro presente disponibile, bell’e pronto, ready-made – e allora so che lo devo costruire, lo devo creare a partire dagli elementi a disposizione, non da solo ma con l’aiuto dei miei compagni di strada. E di tutti coloro che provano il medesimo fastidio, la medesima irritazione.
Non è poi passato tantissimo tempo da quando un teschio ricoperto di diamanti è stato fatto passare addirittura per un capolavoro; e anche con l’elegante dito medio in marmo eretto di fronte alla Borsa di Milano, siamo più o meno lì.

Questo periodo rappresenta l’occasione – unica – per liberarsi di ogni condizionamento. Per cogliere la palla al balzo. Per non pensare più in maniera verticale, maschile, egocentrica, egoista, solipsistica. Ma per accogliere, in modo aperto e sperimentale, tutte le idee e le sollecitazioni che vengono dal mondo, dal mondo in sommovimento e in trouble.
Tutti i problemi sono interconnessi, collegati tra di loro – così come le soluzioni. Razzismo, patriarcato, paternalismo, sessismo, classismo, elitarismo, disuguaglianza economica: sono tutte anzi declinazioni dello stesso problema, di un unico problema. E non ci può essere un’autentica innovazione politica e sociale, che non sia anche artistica e culturale.
Avevamo alcol, pollo, musica; eravamo gli uni per gli altri e non avevamo bisogno di fingere di essere quelli che non eravamo. È di questa libertà che parlano, per esempio, alcuni gospel e il jazz. Nel jazz in genere, e nel blues in particolare, c’è sempre qualcosa di pungente e di ironico, autoritario e ambiguo. A quanto pare, per i bianchi d’America, invece, le canzoni allegre sono allegre e basta e quelle tristi sono tristi e, Dio ce ne scampi, questo è esattamente il mondo in cui le cantano, risultando in entrambi i casi così inevitabilmente e disperatamente fatui che uno non osa misurare i gradi del gelo da cui sgorgano quelle loro vocette asessuate. Solo chi è stato down the line, come dice la canzono, sa cosa significa quella musica” (James BaldwinLa prossima volta il fuoco, Fandango 2020, pp. 50-51).

Il segreto – e la cosa davvero in comune tra alcuni artisti attivi in Italia in questo momento (sono d’altra parte gli autori delle opere che accompagnano regolarmente i pezzi di queste serie) – è l’articolazione con il tutto, con gli altri elementi, con il contesto, con la realtà, con la natura. Con l’altro. L’assenza di distinzione, di contorni tra sé e il mondo, tra sé e “ciò che il mondo è nel suo puro non equivalere al sé, ciò che rivendica essere intrinseco al non sé” (Donna HarawayChthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, Nero 2019, p. 59). Le connessioni: esplorare liberamente e radicalmente le connessioni, senza preoccuparsi di dove finisce “io” e dove inizia “l’altro”. Immergersi nel tessuto della realtà, fondersi con esso. La paura di perdere-sé, di scomparire, di essere inghiottito/a o annullato/a, non porta a nulla di buono, a nessuna evoluzione; coincide invece con la stasi, con la paralisi, con l’immobilità, con la morte.
È il senso dell’Ubuntu illustrato di recente da Laeticia Ouedraogo: “Umuntu Ngumuntu Ngabantu recita un proverbio zulù ancorato nell’eredità sociale e politica del Sudafrica che si può tradurre: ‘Io sono ciò che sono in virtù di ciò che siamo tutti’, e che in sé cristallizza l’essenza della filosofia umanista africana detta dell’Ubuntu. All’Ubuntu si ricorre spesso in situazioni di crisi, siano esse umanitarie o ambientali, per permettere alle entità disintegrate da tali crisi di riconciliarsi con l’universalità dei valori dell’umanità. (…) Il senso dell’Ubuntu è anche quello di non guardare passivamente alle sofferenze altrui, ma di creare una rete di sostegno capace appunto di riportare in superficie le sofferenze dei singoli, di abbracciare e setacciare collettivamente le miserie che a turno tutti gli esseri umani affrontano” (Gli Stati Popolari e la filosofia dell’Ubuntu, “L’Espresso”, 5 luglio 2020, p. 38).
L’evoluzione è connessione, fusione, intromissione, intersezione.
Non c’è distinzione tra rumore e suono, tra opera e mondo, tra arte e vita.

By Christian Caliandro – artribune.com

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