Tartaglia Arte: Gli Anni Venti di ieri e di oggi al Museo Guggenheim di Bilbao

 

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, l’articolo ricevuto da Tartaglia Arte:

IL GUGGENHEIM DI BILBAO OFFRE UN TUFFO NEGLI ANNI VENTI DEL SECOLO SCORSO, FRA ARTI VISIVE, DESIGN, ARCHITETTURA E MODA. UN DIALOGO CON IL PASSATO CHE CHIAMA IN CAUSA IL PRESENTE.

 
I corsi e ricorsi storici sembrano davvero una realtà se si confrontano le vicende dell’Europa d’inizio Novecento con i tragici eventi dell’attualità. Il Secolo Breve si apre con una devastante guerra mondiale e con una pandemia causata da un virus simile all’influenza, portando con sé traumi, crisi economiche e rivoluzioni sociali. Eppure, dalle rovine degli Anni Venti del secolo scorso nascono le radici del rinnovamento estetico, culturale ed economico del nostro tempo.

CREATIVITÀ, PROGRESSO E LIBERTÀ SOCIALE

folli Anni Venti ‒ protagonisti della bella mostra aperta fino a settembre al Museo Guggenheim di Bilbao ‒ furono un’epoca di esplosione della creatività e di libertà sociale, con uno spirito di innovazione e di progresso mai visti prima. Realizzata in collaborazione con la Kunsthaus di Zurigo, l’esposizione è curata dalla svizzera Catherine Hug e da Petra Joos, conservatrice del Guggenheim. A Bilbao l’allestimento porta la firma di Calixto Bieto, volto noto della drammaturgia contemporanea, direttore artistico del bilbaino Teatro Arriaga e regista in residenza del Teatro di Basilea. Suddivisa in sette sezioni, la mostra racconta attraverso più di trecento opere i progressi economici e sociali di un’epoca, proponendo un’articolata riflessione di carattere interdisciplinare. Si tratta di un viaggio nel passato volutamente eterogeneo e trasversale, che mescola avanguardie e movimenti progressisti, la Bauhaus con il Dadaismo e la Nuova Oggettività. Il percorso privilegia però soprattutto quelle arti visive, come il cinema e la fotografia, che proprio in quegli anni assumono una dimensione più vasta, quasi di massa, e che per la prima volta attraggono l’interesse degli artisti. Le nuove tendenze estetiche invadono però anche altri ambiti, come l’architettura e il design, le arti decorative e la moda, contribuendo alla nascita della cosiddetta società dei consumi, con tracce evidenti negli anni a seguire e fino ai giorni nostri.

NUOVE SEDUZIONI TRA MUSICA E CABARET

Visti oltre i cliché, i folli Anni Venti sono un po’ come Sodoma e Gomorra.  Sullo sfondo, infatti, c’è una società in profonda crisi, che esprime con ogni mezzo un desiderio di riscatto e una voglia assoluta di evasione. Nelle grandi città come Parigi, Berlino o Vienna, oggetto di un’accelerata espansione demografica, la gente è attratta soprattutto dal divertimento e frequenta con assiduità luoghi di svago, come i teatri di varietà, i café chantant o i cabaret letterari. Si assiste così a una rapida liberalizzazione dei costumi, allo sbocciare di un erotismo evidente, favorito anche dal diffondersi di balli come il charleston, incarnato da una dirompente Josephine Beker (la prima ballerina nera ad approdare in Europa), e dalla musica moderna, come il jazz o la chanson popolare. In tale contesto, anche il lavoro nelle fabbriche (con la catena di montaggio), il movimento nelle città (con l’automobile) e le comunicazioni (con il diffondersi della radiofonia) contribuiscono a stravolgere le regole della quotidianità.

CINEMA E FOTOGRAFIA

Le parole chiave per capire un’epoca così complessa ed esaltante sono novità e progresso, utopia e sperimentazione. Non a caso, ad accogliere il visitatore nella prima sala c’è la proiezione di Le ballet mécanique, il film cubista che l’artista Fernand Léger gira nel 1924 (in collaborazione con il musicista George Antheil e con Friedrich Kieser, autore tra l’altro del catalogo di una nuova tecnica teatrale). Il film di Léger condensa in pochi fotogrammi l’essenza del nuovo linguaggio artistico, rapido e a effetto; anche Hans Richter sperimenta una forma di cinema astratto con il suo Rythmus 23, cortometraggio del 1923 i cui segni geometrici sono contenuti nel grande rullo dipinto che gli servì da modello. Sperimentale è anche il piccolo doppio autoritratto a occhi chiusi che André Breton scatta nel 1929 in una cabina fotografica, primo selfie della storia; o le foto in bianco e nero che Brancusi realizza nel suo studio, per documentare il suo lavoro. Audaci sperimentatori con la macchina fotografica sono allora anche Man Ray e Lazslo Moholy-Nagy, quest’ultimo curatore della mostra itinerante Film und foto, la prima a riunire i due generi.

LA RIVOLUZIONE DELLA MODA E DEI COSTUMI FEMMINILI

Una boccetta di Shalimar ‒ disegnata da Raymond Guerlain, che nel 1925 vince il primo premio all’esposizione per le arti decorative di Parigi – apre la sezione dedicata all’immagine femminile. Nel primo dopoguerra sono le donne a cambiare volto, esteticamente e socialmente, con il taglio corto à la garçonne e i primi suffragi universali. Nuovi ruoli e nuovi modelli si riflettono nei ritratti freddi ma sfrontati di Christian Schad, nei disegni caricaturali di Otto Dix e nelle foto erotiche di Man Ray; ma anche nelle prime storielle passionali e osé contenute nel best seller di Victor Marguerite La garçonne (pubblicato a Parigi nel 1922) o nel Wege der Liebe di Aleksandra Kollontay.

VIVERE CON STILE

Uomini e donne degli Anni Venti cambiano usi e costumi grazie anche alla moda, la sezione forse più completa e appassionante della mostra di Bilbao. Trasparenze, maniche corte e orli sotto al ginocchio fanno degli abiti di Lucien Lelong, Paul Poiret e Coco Chanel autentici oggetti di seduzione; e i modernissimi figurini disegnati da Liubov permettono alle donne di essere eleganti muovendosi rapidamente, al lavoro o in bicicletta. All’epoca il pizzo Sangallo e le sete stampate jacquard (autentiche o artificiali non importa) sono una specialità made in Switzerland apprezzata in tutto il mondo, come testimoniano i campionari della Stehli Silks Corporation. E sulle copertine di Vogue o Die Dame, le prime riviste femminili, compaiono volti di donne raffinate ed emancipate disegnate da artiste come Tamara de Lempicka e Sonia Delaunay. Negli Anni Venti si comincia a vivere meglio e con stile anche per impulso dell’architettura sociale di Gropius e di Le Corbusier (in mostra alcuni bellissimi disegni del celebre architetto svizzero) e soprattutto grazie agli oggetti di design creati dalla Scuola Bauhaus di Weimar e prodotti in serie, come il campionario di sedie e sedute vendute ancora oggi e di grande attualità.

CORPO, MENTE E SOCIETÀ

Ultimo capitolo di questo viaggio a ritroso riguarda l’equilibro delicato fra corpo, mente e società, una sfida tuttora attuale. Negli Anni Venti si sviluppano le prime forme di danza non codificata, pioniere della danza espressionista in Germania e della moderna performance artistica. Personalità come Mary Wigman, Valeska Gert o Gret Palucca, tutte uscite dalla scuola del coreografo ceco Rudolf Laban, non solo aprono la strada alla danza contemporanea, in cui il corpo è la base del nuovo linguaggio, ma sono ancora un punto di riferimento per grandi artiste del calibro di Pina Bausch.

DIALOGHI SENZA TEMPO

Il raffronto serrato fra gli Anni Venti del secolo scorso e l’attualità è affidato infine alle opere di artisti contemporanei inserite qua e là, in maniera quasi impercettibile, lungo il percorso di visita. Impossibile enumerarli tutti: spetta al visitatore più sensibile e attento scoprire i nessi fra creazioni lontane un secolo ma in dialogo profondo. Fra tutti, vale la pena citare Open Your Eyes, slide show di Kader Attia che denuncia le mutilazioni di guerra di ieri e di oggi (del 2010), le immagini di architetture del Bauhaus del fotografo giapponese Hiroshi Sugimoto e le bellissime foto di Thomas Ruff, autore anche di piccoli ironici “scherzi” fotografici realizzati con l’uso di arredi d’autore. L’intervento scenografico di Calixto Bieto all’interno dell’allestimento sembra limitato alla scelta dei colori alle pareti per distinguere l’ambiente delle diverse sale espositive (il nero profondo in cui sono immerse le opere della prima sala promette bene, ma il seguito delude). La ri-creazione di un cabaret intellettuale, fatto di una scena vuota, tavolini con proiezioni di immagini di balli dell’epoca e gigantografie su wall paper, non emoziona né trasmette la forza dirompente del varietà popolare degli Anni Venti.
By Federica Lonati – artribune.com

 


 

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