Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Tartaglia Arte la seguente intervista:
A Mérida ci vivo da anni: arrivai nel 2010 con una borsa di Studio SRE che mi permise di portare avanti il Dottorato in semiotica e arte iniziato anni prima alla San Carlo di Valencia. Mi accolsero l’Università Autonoma dello Yucatán e una città meravigliosa dove pensavo di trascorrere un solo anno e dove, ancora adesso, vivo parte della mia quotidianità, concreta o virtuale a seconda delle stagioni. Raccontarla risulta dunque un’azione epistemologica assai contagiata dall’affetto che sin dai primi tempi iniziai a provare per questo luogo. Ho deciso quindi di coinvolgere le opinioni di due tra i maggiori esperti dell’arte locale, ricercatori, docenti e promotori culturali: Jorge Cortés Ancona e Alberto Arceo.
Qual è il rapporto tra centro e periferia?
Jorge Cortés Ancona: Quando, dopo la Rivoluzione, il Messico si stabilizzò e pacificò come Paese, ci fu una grande tendenza a centralizzare vari tipi di servizi (soprattutto quello educativo) e questo perdurò per varie decadi. Nonostante ciò, da circa quarant’anni, hanno iniziato a sorgere altri poli, che però non hanno mai raggiunto le dimensioni della capitale. C’è stata una sorta di decentralizzazione: ora ad esempio la fiera del libro più grande si trova a Guadalajara, così come gran parte della produzione cinematografica; Monterrey ha un museo d’arte contemporanea molto avanzato, Tijuana un enorme centro culturale dall’architettura molto prestigiosa, inaugurato negli Anni Settanta. Si è quindi creato un equilibrio, che però ripropone la dicotomia centro-periferia anche a livello regionale. Nello Yucatán è evidente: Mérida è la città più grande, con una densità abitativa molto maggiore rispetto al resto della regione, e concentra la maggior parte della produzione artistica.
Qual è la storia della proliferazione artistica nello Yucatán?
Jorge Cortés Ancona: Dalla fondazione della Scuola di Belle Arti nel 1916 iniziò un lavoro di produzione e diffusione, le notizie importanti entravano nei bollettini del governo e iniziavano a costituire una storia dell’arte locale. La Scuola fu creata dal generale Salvador Alvarado, un innovatore nel campo sociale, educativo, economico e ideale. In quei tempi arrivarono anche maestri stranieri che diedero un’aria nuova e costruttiva alla pratica artistica, per esempio lo scultore italiano Alfonso Cardone. Con parecchi alti e bassi, soprattutto per le incertezze economiche, la Scuola persevera e nel 1944 Eduardo Urzaiz aveva già creato una ricerca che comprendeva l’arte dai tempi coloniali al 1940: ad esempio, si sa che erano diffusissime la litografia e poi la fotografia, e questo fu un buon punto di partenza che facilitò ricerche posteriori. Io ho proseguito la ricerca storica, scaturita nelle pubblicazioni Panorámica Plástica yucatanense 1916-2007 e Las artes visuales all’interno della Enciclopedia yucatanense, relativa al periodo dal 1980 al 2017.
Come è strutturata la comunità artistica di Mérida oggi?
Alberto Arceo: Se me l’avessi chiesto dieci anni fa ti avrei detto che Mérida si stava trasformando in un nuovo epicentro di produzione artistica con vari movimenti in crescita. Ora però direi che vi è una sorta di autoregolazione, cioè di trasformazione in base ai criteri che lei stessa genera; vi è anche un’autodeterminazione che avviene attraverso propri canali di legittimazione. Al tempo stesso ci sono varie porte aperte con altre realtà, con potenzialità di diffusione globale, però l’arte che si sviluppa nello Yucatán è particolare ed è bene che si autolegittimi innanzitutto a livello regionale.
E a livello di spazi qual è l’articolazione?
Alberto Arceo: Dopo la fierizzazione dell’arte e quindi il quasi completo controllo del mercato dell’arte in ambito fieristico, le stesse gallerie o i gruppi di artisti stanno cercando modi diversi di autofinanziarsi o autopromuoversi e così nascono progetti interessanti. Ci sono nicchie aperte in cui gli artisti si muovono e qui a Mérida ci sono vari scenari in cui si sta cercando di attivare anche l’aspetto finanziario. Ci sono gallerie di impresari yucatechi che aspirano a collezionare arte a carattere regionale, ma al tempo stesso esistono gallerie di taglio nazionale o internazionale che hanno trovato a Mérida un luogo ideale, alla moda, sicuro, piacevole e vicino al mare. C’è anche una terza tipologia di gallerie, numerose a Mérida, più informali, con meno infrastrutture: spesso sorgono in modo effimero o intermittente e generano i propri circuiti di esposizione e vendita.
Qual è l’influenza straniera sull’ambito artistico locale?
Alberto Arceo: Il tema degli stranieri, nello Yucatán, è sempre stato determinante; è un riflesso di sé per conoscersi attraverso gli occhi dell’alterità. Così inizia a generarsi un avvicinamento alla produzione artistica altrui: tanti stranieri che vengono a conoscere la città poi decidono di rimanerci per le sue caratteristiche specifiche, per la sua luce, per la temperatura, per la gente, e questa dinamica ha creato nuovi spazi di incontro e interazione con artisti locali. Sono numerosi anche gli expat, canadesi e nordamericani, che decidono di stabilirsi a Mérida alcuni mesi all’anno, comprano case coloniali e le ristrutturano, sono interessati all’arte e quindi sono potenziali acquirenti.
Se non sbaglio c’è un aneddoto riguardante Diego Rivera e il suo rapporto con lo Yucatán…
Jorge Cortés Ancona: Sì, Diego ricevette una borsa di studio dal governatore e visse in Europa dagli inizi del XX secolo fino al 1921. Al suo ritorno, i cambiamenti in Messico erano numerosi e così José Vasconcelos decise di proporre a Diego, a Roberto Montenegro e ad altri pittori di conoscere più a fondo il loro Paese – non solamente la capitale, ma anche altre zone della Repubblica. Arrivando nello Yucatán, in un momento piuttosto effervescente in cui governava Felipe Carrillo Puerto, Diego visitò la Scuola di Belle Arti. Ai tempi vi studiavano operai, contadini, bambini; venivano rappresentati temi della vita quotidiana e tradizionale; le idee vigenti erano di tipo socialista, un ibrido tra il profilo marxista e quello anarchico, e Diego ne rimase abbagliato. Vi erano anche alcuni studenti maya, uno di nome Miguel Rodríguez lo colpì particolarmente, tant’è che decise di portarlo con sé in città. Al ritorno rilasciò un’intervista, in cui disse che la miglior arte del Messico si stava facendo nello Yucatán.
È ancora valida la considerazione di Diego Rivera? A Mérida c’è fermento e la scena artistica sta crescendo sia in termini di quantità che di qualità. Di recente creazione, le due principali scuole d’arte, UADY – Campus de Arquitectura, Habitat, Arte y Diseño ed ESAY – Escuela Superior de Artes de Yucatán, preparano gli studenti alla produzione e critica dell’arte contemporanea, mentre proliferano le gallerie e gli studi. Basti pensare che dieci anni fa le gallerie si contavano sulle dita di una mano – la Galería Mérida era la più attiva e tra le prime a emergere – mentre ora ce ne sono più di trenta. Fra le più in voga, perché ubicata in un quartiere particolarmente ambito e perché gestita da Janet e Gerardo, due amichevoli professionisti, troviamo La Eskalera; molto rinomata è Lux Perpetua, in un setting Art Déco. Numerosissimi anche gli studi d’artista, aperti ad esempio in occasione dell’appuntamento annuale organizzato dall’English Library, dove ne vengono coinvolti circa quaranta: si acquista un biglietto a cifra modica e si può fare un tour di due giorni. Anche il governo locale fa un buon lavoro: oltre a promuovere mostre ed eventi nei numerosi musei, organizza due volte l’anno, a maggio e dicembre, La Noche Blanca, con musica e appuntamenti culturali, nonché gallerie e studi aperti.
Essendo tanto ricca di stranieri e messicani, l’arte che si realizza e che si muove a Mérida rispecchia un panorama ampio e non categorizzabile. Rimangono vivaci le tecniche tradizionali, è sempre molto ricca la stampa, ma anche il video e il multimedia iniziano a prendere piede. Io stessa nel 2017 ho fondato il Laboratorio de investigación, creación y experimentación: inizialmente si trattava di uno spazio intimo, ora è una sede aperta a mostre, concerti, collaborazioni e residenze. Gli ultimi ospiti sono stati Israel León, eccellente pittore cubano, e l’attrice rumena Adriana Butoi.
La regione ha una forza incredibile. Vi si può accedere, oltre che via mare, dal Golfo del Messico, anche dagli infiniti cenotes, laghi-grotte sotterranee in cui i maya facevano e fanno bagni e rituali. Atavica l’energia del meteorite che sembra aver provocato l’estinzione dei dinosauri, caduto nella vicina Chicxulub. La lingua maya è più viva che mai, si parla nei borghi e si insegna a scuola. Dopo anni di censura, ha finalmente ritrovato il modo di riemergere: racchiude in sé suoni poetici, saggezza popolare e una storia ancora da raccontare. In Lak’ech Ala K’in, “Io sono te come tu sei me”.
By Silvia Barbotto Forzano – artribune.com