Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Tartaglia Arte il seguente articolo:

IL 18 MAGGIO 2020, NELLA DATA SIMBOLO DELLA FASE 2 ITALIANA, IN PIAZZA SAN MARCO A VENEZIA È APPARSA UNA SCULTURA IN MARMO RAFFIGURANTE UN FALLO IMBRIGLIATO DA UNA MASCHERINA, PRONTAMENTE RIMOSSA DALLA POLIZIA LOCALE. SULL’INTENTO DELL’OPERA NON SI È MAI FATTA CHIAREZZA. CE LO SPIEGA ORA IL SUO AUTORE.

#ciapaipaebae, Piazza San Marco, Venezia

È il lunedì mattina del 18 maggio 2020 quando, in una piazza San Marco semi deserta e nella data simbolo della Fase 2 italiana, appare un pene marmoreo di 200kg. Altezza? Un metro circa. Un oggetto dall’identità sconosciuta ma curiosa, che pare essersi materializzato dal nulla. La punta è coperta da una mascherina, agganciata ai testicoli. La fattura è notevole. Sulla cima svetta una doppia scritta in veneziano e inglese: #ciapaipaebae #grabbedbytheballs. La rimozione avviene tempestivamente per mano della polizia locale la foto dell’opera fa il giro del web finendo persino in qualche programma radio e tv; poi il tutto viene in breve archiviato come una bravata di cattivo gusto. Ma siamo sicuri che si tratti solo di questo?

#CIAPAIPAEBAE, COSA C’è DIETRO IL FALLO DI PIAZZA SAN MARCO

A distanza di oltre un mese dall’episodio, il giovane autore esce allo scoperto, rivelando un’intenzionalità che non è stata capita. Quel pene sarebbe una metafora della condizione umana nel castrante momento dell’isolamento forzato: uno slancio vitale, una funzione apotropaica che vuole essere anche di protezione e buon auspicio, come nei culti priapei della classicità. Le scanalature sui testicoli delineano delle impronte digitali, segno di attaccamento all’identità. Ci sono numerosi altri dettagli che sono sfuggiti inizialmente, complice la censura avvenuta rapidamente. L’opera parla anche di una città bella e sofferente come Venezia, prima aggrappata a un dannoso turismo di massa e ora abbandonata dallo stesso. Sulla superficie dell’opera, infatti, appaiono delle scritte a pennarello come “svodai”, “svuotati”, ovvero i negozi ormai senza clienti; “prostituzione”, con riferimento alla mercificazione della città. Nel complesso, la scultura vorrebbe rappresentare insomma un gesto d’amore verso Venezia, un invito a ripartire da zero, evitando gli errori commessi. Avrebbe potuto persino essere considerata come una donazione, un aiuto per ricominciare. Nella realtà non è andata affatto così. Ci ha spiegato tutto – compresi i retroscena – l’autore.

#ciapaipaebae, in studio

Come ti senti dopo aver compiuto questo gesto?
Sono deluso. È andata a scemare un po’ l’idea di partenza. Volevo che in qualche modo la mia opera potesse essere di aiuto a Venezia, per far ripartire l’ambito culturale e artistico dato che anche la Biennale non si farà. Speravo che l’opera venisse presa come una donazione, e invece dopo dieci minuti è stata blindata.

E questo tu te lo aspettavi?
Sinceramente no. Speravo che venisse vista da più persone, mentre la polizia l’ha rimossa con i carretti e prima di farlo l’ha addirittura oscurata. E questo fa pensare. Oscurandola da chi tra l’altro? Attorno non ci saranno state più di 15 persone.

Cosa speravi, allora?
Volevo che l’opera fosse riconosciuta come uno slancio vitale per Venezia, una città momentaneamente ferma ma che vuole tornare a valorizzare tutto il suo splendore. Io in quella scultura non vedo un fallo, bensì una libertà che per mesi ci è stata negata. Non sono un maniaco sessuale!

Spiegaci meglio.
Visto l’interesse artistico di Venezia e visto che la scultura non ha recato alcun danno al suolo pubblico, mi aspettavo che venisse considerata come un’opera da dare in beneficenza. Volevo veramente aiutare Venezia. Invece non è stata fruita da nessuno. Speravo che fosse lasciata scoperta per qualche ora in più, in modo da creare un dibattito più attento sui social, sulla situazione della città. Non a caso svetta in cima un hashtag in veneziano, un messaggio che volevo diventasse virale.

Quindi l’opera non è stata concepita come una provocazione, come invece è stata letta in modo univoco.
Non volevo fosse una provocazione, l’ho pensata, anzi, come il contributo da parte di un comune cittadino che vuole fare qualcosa per rilanciare la città.

Come hai fatto a eludere i controlli in pieno lockdown? Militari, Guardia di finanza…
Ci ho messo un po’ per organizzarmi, sono stato avvantaggiato dal fatto di aver vissuto tanto tempo a Venezia e conoscerne bene le dinamiche. Ho fatto dei sopralluoghi controllando i dislivelli, le problematiche dei ponti, delle barriere architettoniche… Quel giorno sono arrivato in vaporetto – utilizzando i biglietti turistici e non l’abbonamento, per non farmi identificare – e poi sono scappato in taxi, dileguandomi il più velocemente possibile.

Qual è stato, invece, il destino dell’opera?
Inizialmente è stata portata alla questura di San Marco, e in seguito al Tronchetto. Io mi sono autodenunciato perché voglio scarcerare l’opera, che viene trattenuta per 12 mesi e dopodiché viene messa all’asta con autore anonimo. Non voglio che faccia questa fine!

Beh in effetti sarebbe un po’ una fine del c…
In realtà sono venuto a sapere che sono già state avanzate alla polizia richieste di acquisto della scultura…

Dove è stata realizzata?
Nel mio studio, l’ho scolpita personalmente.

Effettivamente, al di là del soggetto, stilisticamente si rifà molto alla tradizione scultorea…
È un marmo italiano che ho scelto appositamente, richiamandomi al nostro patrimonio artistico.  Io veramente ci ho messo il cuore, cercando di contribuire alla situazione drammatica che abbiamo vissuto.

Cos’è cambiato a Venezia?
Da quando Venezia si è svuotata abbiamo avuto l’occasione di accorgerci nuovamente del suo patrimonio, di definire il nostro sguardo sulla sua bellezza. Questa pandemia ci ha fatto capire come, almeno in parte, siamo causa dei nostri mali. Invece di lanciare messaggi come #restateacasa o #andratuttobene, è necessaria un’analisi più attenta delle problematiche, di come hanno avuto origine e del modo migliore per gestirle.

Quali sono le problematiche di Venezia?
Le scritte sull’opera – “duri” “prostituzione” “svodai” – si riferiscono allo sfruttamento che è stato fatto di questa città attraverso il turismo di massa, sono dei gridi di allarme e di dolore. Questa vicenda mi ha fatto capire come abbiamo sbagliato tutto nella gestione di Venezia. Ci sono moltissimi capitoli da aprire, non c’è solo un pene in piazza San Marco.

By Giulia Ronchi – artribune.com