Tartaglia Arte: Tecnologia, distanza e ironia. La mostra di Cao Fei a Roma

Il MAXXI di Roma accoglie la prima mostra personale di Cao Fei (Guangzhou, 1978) in Italia. Si tratta di una delle artiste cinesi più promettenti e tra le più visionarie in assoluto a livello globale. Cao Fei è cresciuta in un ambiente creativo e stimolante, il padre è uno scultore accademico, ed è stato Hou Hanru, direttore artistico del MAXXI, ad accorgersi del suo talento e a spingerla a perseverare nella carriera artistica: “Le sue opere sono spesso oltraggiose e stravaganti, ma allo stesso tempo romantiche e poetiche, con una forte componente di serietà e di critica, sempre accompagnate dall’ironia, dalla satira e, soprattutto, dall’umorismo”, ha affermato. I suoi strumenti espressivi sono il video ‒ seppur non si ritenga una regista, ammira Greenaway, Resnais e Fellini ‒ e il materiale emotivo, psicologico, antropologico di una civiltà che si avvia verso l’autodistruzione: “La Supernova è l’esplosione di una stella che aumenta la propria energia e luminosità fino alla sua stessa deflagrazione. Anche il nostro pianeta, travolto da un forsennato sviluppo, sembra destinato alla dissoluzione”, ha dichiarato la co-curatrice Monia Trombetta. Eppure lo sguardo di Cao Fei si posa sulla realtà senza amarezza e cinismo, toglie i veli che offuscano un giudizio obiettivo ma non traccia direttive serrate; le prospettive future portano ad alcuni sbocchi possibili, sta alle nuove generazioni capire dove andare a parare, se e come fermarsi o indugiare.

LE OPERE DI CAO FEI IN MOSTRA A ROMA

La mostra è suddivisa in tre sezioni: una volta scostato il pesante tendaggio rosso che funge da barriera teatrale, si viene catturati da Nova, il film del 2019. Un informatico, innamoratosi di una scienziata russa, per rincorrere il progresso tecnologico e spostare la conoscenza oltre le Colonne d’Ercole, verso l’ignoto, imprigiona involontariamente il figlio, durante i suoi esperimenti, nella dimensione virtuale del cyberspazio. Cardine del video è la distanza siderale, l’incomunicabilità, tra gli esseri umani, monadi in un sistema relazionale spesso compromesso dagli effetti indesiderati dell’ambizione. Padre e figlio sono separati da uno schermo di grafici e statistiche spersonalizzate. Il metaverso, di cui oggi tanto si parla, non ha l’apparenza consolatoria di un paradiso di possibilità e potenziale avanguardistico, il protagonista si muove disorientato in una realtà-trappola, nelle vesti di astronauta. “La tristezza che mi affoga così tanto. Oh, sognatore… Tu, rubacuori… La vita si nasconde in un sogno, sorride maldestramente. Stai arrivando, bagnando le luci delle stelle con l’acqua eterna, guardandomi negli occhi” è il testo della canzone che, sulle note di Moon River, si sente echeggiare sulla spiaggia, dove l’astronauta immagina di ritrovare i suoi affetti. Un’altra scena surreale vede i protagonisti che, dopo essersi arrampicati su una terrazza, passando oltre le gambe divaricate di una gigantesca scultura femminile, si lasciano trasportare dal ritmo di un valzer. La vicenda è ambientata nel quartiere industriale di Hongxia a Pechino e nell’ex cinema che Cao Fei ha adottato in qualità di proprio atelier. L’opera Eternal Wave propone un’esperienza interattiva, prodotta con Acute Art, alla quale si accede indossando dei visori VR: il visitatore si proietta nella cucina dello studio dell’artista ed è invitato a vivere cinque esperienze virtuali. Del 2014 è invece il film Haze and Fog che, alludendo all’inasprimento dell’inquinamento atmosferico, vede liquefarsi i rapporti umani; la nebbia diventa metafora di un vuoto incolmabile che caratterizza le scene, rendendole ipnotiche. Gli uomini si rivelano zombie, compiono azioni senza determinazione, in maniera automatica, privi di energia e qualsivoglia volontà. Improvvise pulsioni di tango spezzano l’uniformità e l’alternarsi delle scene. Le due opere RMB City e Intellectual Marathon sono ambientate nella città utopica creata da China Tracy, avatar di Cao Fei sulla piattaforma ludica Second Life. Nel primo video la città galleggiante RMB è la risultante di un asettico combinarsi di simboli e monumenti cinesi in un’architettura di assemblaggi digitali: la bandiera, il panda, Piazza Tiananmen, il Bird’s Nest Stadium, l’Oriental Pearl Tower di Shanghai. Nel secondo video, Karl Marx, Mao Zedong, Lao Tze e Hans Ulrich Obrist ingaggiano una lotta che alterna calci e pugni a stralci di dialoghi sugli argomenti più disparati ‒ etica, politica, società e cultura. Sempre al mostro dell’alienazione è dedicato il video La Town: la cinepresa indugia in slow-motion su dettagli cruenti e sugli scorci formati dalle macerie di una metropoli remota e sconosciuta; l’atmosfera post-apocalittica è abilmente resa grazie ai modellini di palazzi, figure umane o fantasmi, giostre, rottami urbani, tutti costruiti dalla stessa Cao Fei.

L’OPERA DI CAO FEI SUL LOCKDOWN

Infine Isle of Instability è l’opera realizzata grazie al supporto di Audemars Piguet Foundation nei nove mesi di isolamento in cui la famiglia di Fei è stata costretta lontana da casa, in lockdown a Singapore. Un racconto esistenziale intimo e commovente viene affidato alla figlia. L’ambiente domestico diventa palcoscenico, luogo in cui la quotidianità si consuma. La noia, la frustrazione, l’andamento circolare e ripetitivo delle ore scandiscono la prigionia; la bambina cerca degli espedienti per uscire dal confinamento. L’isola dell’instabilità non è altro che un gioco: un lembo di lenzuolo posto a terra come una zattera, noci di cocco, un pallone verde da spiaggia, fiori e frutti esotici come ananas e mango, buste colorate legate insieme a formare un festone, un materassino per restare a galla in mezzo al mare, delle pentole come percussioni, lo schermo della tv con un tramonto caraibico che avanza. Siamo lande desolate in mezzo a deserti di senso; se Singapore non è altro che un’isola città-stato a sud della Malesia, Isle of instability è una metafora che rispecchia la condizione reale: una guerra individuale per la sopravvivenza con guanti, mascherine, igienizzanti, tamponi, protocolli e il terrore che i ponti con l’esterno vengano tagliati.

By Giorgia Basili – artribune.com

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