Non è ancora finito lo scandalo dei Basquiat falsi all’Orlando Museum of Art della Florida, che aveva portato lo scorso 24 giugno al sequestro da parte dell’FBI di 25 lastre di cartone dipinte attribuite a Jean-Michel Basquiat (New York, 1960 – 1988) – esposte nella mostra Heroes and Monsters – e al licenziamento del direttore e amministratore delegato Aaron De Groft. Ora il consiglio di amministrazione dell’OMA ha annunciato una “rivalutazione di tutte le mostre pianificate”. Iil museo ha così cancellato le prossime tre mostre programmate da De Groft, che aveva strenuamente difeso l’autenticità delle pseudo-opere di Basquiat e ha formato una task force guidata dagli amministratori del museo Mark Elliott e Nancy Wolf “focalizzata sulla revisione delle politiche e delle procedure del museo progettate per aiutare a controllare le mostre”. Le tre esposizioni, riporta il New York Times, si sarebbero concentrate rispettivamente su un grande dipinto che De Groft sosteneva fosse di Jackson Pollock (di uno dei comproprietari dei presunti Basquiat), una serie di disegni di Michelangelo – che secondo diversi dipendenti del museo avevano suscitato preoccupazioni interne riguardo all’attribuzione – e infine una mostra itinerante di opere d’arte di Banksy, sconfessata da lui stesso sul suo sito web: “Potrebbe essere una schifezza, quindi per favore non venire da noi per un rimborso“.
LO SCANDALO BASQUIAT E IL FUTURO DELL’ORLANDO MUSEUM OF ART
Stando a De Groft e ai proprietari dei dipinti, i lavori sequestrati erano stati creati intorno al 1982 da Basquiat in uno studio di Los Angeles gestito da Larry Gagosian. Basquiat avrebbe venduto le opere direttamente allo scrittore televisivo Thad Mumford, che le avrebbe lasciate per decenni in un’unità di archiviazione. La dichiarazione giurata dell’FBI, tuttavia, citava un’intervista tra un membro dell’Art Crime Team e Mumford, che affermava di non aver mai incontrato Basquiat, e condivideva una minacciosa corrispondenza tra De Groft e uno degli esperti incaricati di autenticare i dipinti, la professoressa Jordana Moore Saggese, che aveva chiesto senza successo che il suo nome non fosse associato alla mostra. Lo scandalo ha innescato una vera e propria crisi dell’OMA, mettendo a repentaglio la sua reputazione e il suo sostegno filantropico: sempre secondo il New York Times, una mezza dozzina di donatori sta valutando la possibilità di trasferire il proprio sostegno finanziario al vicino Rollins Museum of Art, dell’omonimo college, mentre la Martin Andersen – Gracia Andersen Foundation ha annunciato l’intenzione di revocare il trentennale prestito all’OMA della sua preziosa collezione di dipinti americani del XVIII e XIX secolo (con opere di Robert Henri e John Singer Sargent) per darne almeno una parte al Rollins. Per fermare la reazione a catena, “la Task Force ha incaricato uno studio legale esterno indipendente di assistere nell’esame delle procedure di supervisione per il processo di revisione e approvazione delle mostre“, ha dichiarato Elliott in una nota. “Cercheremo anche di identificare modi per rafforzare la gestione della collezione permanente in espansione di OMA”. Con la speranza che il terremoto sia alle sue ultime scosse – anche se non è detta l’ultima parola, dato che alcuni membri delle comunità artistica locale tra cui la direttrice del Rollins College Ena Heller hanno chiesto le dimissioni di Cynthia Brumback, presidente del consiglio di amministrazione dell’OMA –, è stato nominato direttore ad interim Luder Whitlock, ex direttore della CNL Charitable Foundation con sede a Orlando.
By Giulia Giaume – artribune.com