The Cut ed il dolore della guerra

Presentato alla Mostra di Venezia “The Cut”di Fatih Akin affonda il cuore nell’attualità dei nostri terribili giorni, sia che si alluda all’Isis od alla guerra in Siria. Il film si apre simbolicamente su un ferro forgiato nel fuoco. Ovvero il sangue, la guerra, il dolore inflitto dall’uomo su un altro uomo. A Mardin, 1915, ha inizio l’Odissea personale di Nazaret, quando una notte la polizia turca fa irruzione nelle case armene e porta via tutti gli uomini della città per arruolarli, incluso il giovane fabbro che viene così separato dalla famiglia. Proprio in questa fase Akin sa di parlare alle coscienze di tutti noi, spettatori inermi davanti all’orrore provocato dalle falangi dello Stato Islamico, che ci arriva ogni minuto con le news dei tg. Nelle immagini di fortissimo impatto emotivo dell’esodo del popolo armeno, condotto ai lavori forzati o alla morte nei metodi tristemente noti, avvertiamo la grandezza di un dolore che non troverà mai pace. Una terra di nessuno, desertica e arsa dal sole, che porta a un passo dalla morte anche Nazaret Manoogian, ma che allo stesso tempo gli ridà la vita, attraverso le mani di colui che doveva esserne il carnefice. Sopravvissuto all’olocausto della sua terra, Nazaret viene a sapere che le sue due figlie sono ancora vive, ma non sa dove. L’uomo decide così di ritrovarle e si mette sulle loro tracce, traducendo dalla metafora alla realtà dei suoi nuovi giorni di scampato al genocidio la sua identità di profugo. Girato in Germania, Francia, Italia, Russia, Canada e Polonia e parlato in inglese, arabo, turco e spagnolo, il lungometraggio è un dramma epico che mette insieme tanti generi cinematografici con una certa disinvoltura, ma in virtù di questa pecca talvolta di eccessiva ridondanza. The Cut inteso come taglio, ma anche massacro, lo strappo inferto a un’intera popolazione da parte di alcune minoranze interne che hanno preso il potere con la forza. Esamina il male che siamo capaci di infliggere agli altri, sia inconsapevolmente sia deliberatamente, evidenziando la sottile linea che spesso separa il bene dal male. Tuttavia, Akin non mantiene del tutto le promesse, laddove crea uno sbilanciamento troppo grosso fra primo e secondo tempo. Se la parte della cacciata degli armeni e dell’esodo è girata splendidamente, il movimentato percorso di scoperta di sé e ricerca delle figlie da parte di Nazaret assomiglia per retorica a certe fiction sudamericane.

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