‘Si chiude un ciclo alla guida del Pd’. Con queste parole Matteo Renzi, nel suo intervento alla direzione del Pd, lascia intendere che darà le dimissioni da segretario per dare il via alla preparazione del congresso procedendo con le regole del passato: ‘Scegliamo il campo da gioco e giochiamo con rispetto. Vinca chi ha le idee migliori e chi si mette in gioco e non vince dia una mano a chi ha vinto, non scappi con il pallone, non lasci da solo chi vince alle primarie’. Un congresso che non sia un patto tra correnti ma che stabilisca una linea che tutti, dopo, saranno tenuti a seguire: ‘Facciamo il Congresso perché io non sarò mai il custode del caminetto, il garante di un patto tra correnti. Io per carattere scelgo sempre il mare aperto e non la palude degli equilibri interni: se volete quello prendetene un altro’ Sul tema del voto, Renzi ha detto che non tocca a lui decidere quando si voterà, però: ‘Quando sarà teniamoci pronti’. Rivolto alla minoranza interna, ha affermato: ‘Basta amici e compagni, diamoci una regolata tutti insieme. Non è possibile che tutto venga messo in discussione’. Non è stato un intervento contro Matteo Renzi, quello di Pierluigi Bersani alla direzione del Pd. Più che altro un grido di dolore sulle tante cose che non vanno nel Pd. Un grido d’allarme, anche se Bersani ha subito chiarito che sul congresso ‘cotto e mangiato’ non è d’accordo. Lui vuole un confronto vero. In primo luogo sulla crisi di consensi, un tasto dolente che Bersani ha dipinto con toni critici: ‘Non sto dicendo di chi è la colpa ma vogliamo essere d’accordo nel dire che dalle regionali alle amministrative al referendum, un pezzo della nostra gente, un pezzo di popolo si è allontanato da noi? E’ vero o no che una parte di popolo non ci sopporta? Dobbiamo approfondire, riflettere, correggere. Senza abiure vogliamo dare un messaggio di ‘ricevuto’ da qui a quando si andrà a votare?. Noi dobbiamo prendere delle decisioni. Per noi e per l’Italia perché stiamo governando questo Paese. Quante cose vorrei replicare a quanto detto da Matteo. Ma il passaggio è serio e io salto su un altro registro. Vorrei provare a vedere se, a prescindere da questi tre anni, noi a questo tornante troviamo qualcosa che ci tenga assieme. E questo collante non può più essere quello dei primi anni Novanta del merito, dell’eccellenza. Non c’è niente da rinnegare, ma ora è cambiata la fase. Il lavoro è diventato vago, umiliato. Le diseguaglianze non le digerisci. Se andiamo avanti così la destra arriva. Noi non accoltelliamo alle spalle, avvertiamo che la destra arriva’. A Renzi, infine, Bersani ha chiesto di non lavorare sotto traccia per il voto anticipato: ‘Occorre garantire la conclusione naturale della legislatura. Lasciare l’interrogativo e la spada di Damocle sul nostro governo, magari con le dimissioni in streaming, non possiamo. Dobbiamo dire qualcosa di preciso, e dobbiamo dirlo qui. Noi veniamo dopo il Paese. Non si possono dire cose sibilline, va fatta chiarezza’. In effetti, come dice Bersani, la destra può arrivare. Dall’altra parte, ad esempio, il ‘Polo sovranista’, di Gianni Alemanno e Francesco Storace, parteciperà alle primarie dell’8 e 9 aprile annunciate da Matteo Salvini. A spiegarlo sono stati i due leader, presentando il congresso di fondazione del nuovo movimento, che si terrà dal 17 al 19 febbraio, al ‘Marriot Park Hotel’ di Roma. ‘Berlusconi farebbe malissimo a sottovalutarle, non si può pensare che il leader si scelga in una stanza’, ha affermato Storace. Nomi non ne sono stati fatti, anche perché, come ha spiegato Alemanno, prima devono essere definite le regole. Poi vedremo se presentare un nostro candidato o sostenerne uno, ha precisato il leader di Azione nazionale, chiarendo che le primarie sono uno dei ‘tre stadi’ in cui si deve organizzare il centrodestra. Il primo è la creazione di una ‘casa comune della destra’. Il secondo, la definizione del polo del sovranismo responsabile, che non si riconosce nel Ppe, per un’Europa dei popoli e delle nazioni. Infine, le primarie aperte a coloro che si sono ritrovati nel ‘No’ al referendum sulla riforma costituzionale e, quindi FI, Idea di Quagliariello e Popolari di Mauro. Per Storace, con il Pd in crisi e M5s alle prese con i propri fallimenti, per il centrodestra ci sarebbero strade spianate, se non ci fosse l’egoismo di qualcuno, leggi Berlusconi. Prima di partecipare alle primarie il nuovo movimento di destra è, però, chiamato all’appuntamento della sua fondazione, quel congresso durante il quale sarà anche scelto il simbolo. Una prima selezione è già avvenuta tramite un sondaggio online lanciato sul sito creailtuomovimento.it. Ai partecipanti, che sono stati circa 5mila in pochi giorni, è stato chiesto di dare indicazioni circostanziate e di scegliere il simbolo preferito tra una una quarantina di proposte. I risultati del sondaggio dicono che il 63% dei votanti vuole la Fiamma tricolore nel simbolo, che deve contenere anche, per il 45,5% contro il 42,5%, il termine ‘destra’. Bocciati, invece, la fiaccola, il richiamo ad Alleanza nazionale e la parola ‘patria’ (48% contrari, 37,5% a favore), mentre prevale il riferimento alla ‘sovranità’ (51,3%). I partecipanti al sondaggio, inoltre, hanno decretato che né il simbolo de ‘La Destra’ né quello di ‘Azione nazionale’ devono essere utilizzati come base grafica per il nuovo simbolo. Infine, una indicazione più generale: meglio definirsi ‘movimento’ (per il 56,2%) che ‘partito’ (che si ferma al 43,8% dei consensi). Sulla base delle indicazioni arrivate sono stati poi elaborati 4 simboli, che ora sono a loro volta in votazione. La scelta definitiva, comunque, avverrà al congresso, quando anche i 1500 delegati saranno chiamati a esprimersi sul simbolo definitivo. I candidati sono quattro cerchi accomunati da una fiamma tricolore stilizzata, che richiama da vicino quella del vecchio Msi, con le varianti nel nome: ‘Azione nazionale’, ‘Azione nazionale per la sovranità’, ‘Destra nazionale’, ‘Destra nazionale per la sovranità’.
Cocis