Trump e rebus di nomine. E’ braccio di ferro su Rudy Giuliani

Succede tutto dietro le porte chiuse, ai piani alti della Trump Tower sulla Quinta Strada a Manhattan dove il presidente eletto Donald Trump,  e il suo vice Mike Pence,  si incontrano per le consultazioni volte a definire la squadra di governo. Perche’ le diverse anime politiche che hanno portato all’elezione del tycoon adesso sono in aperta collisione, sulle nomine e sulle caselle da riempire, e sull’impronta da dare nei primi 200 giorni di lavoro. Il fronte e’ spaccato a partire dalla probabile  nomina di Rudy Giuliani come segretario di Stato. Il celebre sindaco di New York Rudolph Giuliani nasce a Brooklyn e le sue origini, come il cognome fa ben intuire, sono italiane,  e precisamente di Montecatini, località natale dei nonni. Dopo un’adolescenza passata a fare i lavori più vari, si diploma al Bishop Loughlin Memorial di Brooklyn. Come studente Rudolph Giuliani ha sempre primeggiato, ottenendo ottimi risultati. Infatti, dopo una prima laurea al Manhattan College, si laurea anche in legge alla prestigiosa ‘Law School’ della New York University. Giuliani è intenzionato a fare carriera e inizia il suo lungo tirocinio nell’ufficio del giudice Lloyd MacMahon, che esercitava la sua competenza nel distretto sud della Grande Mela. Un primo incarico importante lo ottiene a soli ventisette anni quando diventa il Procuratore Distrettuale di Manhattan. Nel 1975 è nominato assistente del vice ministro della Giustizia e si trasferisce a Washington. Il ’77 è l’anno del grande ritorno nell’adorata New York dove si impone nell’ambiente forense per le sue brillanti capacità di oratore.   Nel 1981 è nominato Assistente del Ministro della Giustizia, la terza carica del dipartimento di Giustizia. Due anni dopo il presidente Ronald Reagan lo nomina Procuratore Federale del South District di New York. Qui si conquista il soprannome di ‘Procuratore di ferro’, per la tenacia con cui conduce la lotta alla droga e al crimine organizzato.  Lavora anche con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nelle indagini sulla mafia e il narcotraffico. Ossessionato dalla ‘missione’ di ripulire New York, ne fanno le spese anche gli artisti di strada e i tassisti pregiudicati. Tale è la sua furia moralistico-giustizialista che si guadagna anche un altro soprannome, quello di ‘sceriffo’. Tra le altre sue imprese si contano il taglio delle tasse, la ricerca di lavoro per le persone sovvenzionate dal poco Walfare sussistente in America, e l’incremento della prosperità economica generale della città da lui governata, aiutato da un certa dose di fortuna che in quel momento porta il nome di convergenza economica favorevole. Un altro aspetto fondamentale della politica di Giuliani in questo periodo è la grande attenzione riservata la mondo della finanza. In particolare, passa al setaccio il malaffare che sussiste sottotraccia a Wall Street, con tutti i suoi speculatori, così come la corruzione che alligna negli apparati burocratici. Nel 1989 abbandona la carica di procuratore e si candida per i repubblicani alla poltrona di sindaco di New York ma al primo tentativo viene sconfitto dal democratico David Dinkins. Nel 1993 ci riprova. Si ricandida e questa volta riesce finalmente a diventare sindaco della ‘Grande Mela’. Il suo mandato si caratterizza, anche in questo caso, per la pratica della ‘tolleranza zero’ verso il crimine, che si concretizza nel non accettare la benché minima infrazione con lo scopo preventivo di evitare reati più gravi. Senza smentire se stesso ‘lo sceriffo’ impone il suo pugno di ferro alla gestione municipale. I successi non si fanno attendere: si dimezzano gli omicidi e si riducono del 30 per cento i principali reati solitamente commessi a New York. Di fatto, i newyorkesi rimangono stupiti e anche un po’ preoccupati dalla sconfitta della criminalità, soprattutto per le incredibile storie che girano circa la violenza della polizia. La sua risposta si basa sui fatti e  la gente può tranquillamente passeggiare a Times Square senza timore, anche se poi magari vieta ad alcuni cittadini di manifestare sulle scale del municipio. Insomma, pur non essendo esente da critiche, la politica di Giuliani ha dato a New York uno tra i periodi più floridi della sua storia. Non a caso, il suo operato viene premiato con la rielezione nel 1997. Un altro rilancio enorme di popolarità lo ha visto protagonista sui giornali di tutto il mondo dopo l’attentato dell’11 settembre 2001. Il suo slancio e la sua forza morale hanno travolto e commosso tutta la città. Ha seguito instancabile gli scavi, si è prodigato per dare conforto ai parenti delle vittime ma anche ribadito la necessità di rispettare gli arabi. Persino il New York Times, suo eterno bacchettatore, titolò: ‘Giuliani è noi’. Il Times lo elesse uomo dell’anno con queste giustificazioni: ‘Abbiamo scelto Giuliani per il suo coraggio l’11 settembre e nei giorni successivi, perché un personaggio molto umano ha dimostrato una forza sovrumana in un periodo in cui tutto il paese è stato messo alla prova’. La conferma alla nomina di Giuliani a segretario di Stato tarda a arrivare perche’ la scelta e’ controversa, visto che  in queste ore si ricorda infatti un potenziale conflitto di interessi date alcune attività di consulenza dell’ex sindaco che rimandano ad alcuni paesi chiave, dal Venezuela di Hugo Chavez all’Arabia Saudita. Se ne era già parlato quando nel 2007 Giuliani aveva tentato la sua  corsa per la Casa Bianca, oggi pero’ le sottolineature di fonti di stampa hanno effetto amplificato dopo che per l’intera campagna elettorale Donald Trump e il suo fronte si sono scagliati contro la Clinton Foundation e i dubbi sulla sua lista di donatori, presentato come limite insormontabile per la credibilita’ della rivale democratica Hillary Clinton poi sconfitta. Ma anche la promessa di smantellare quelle zone grigie in cui a Washington si incontrano politica e grandi interessi rappresentati da un esercito di lobbisti. L’organigramma, con focus sulla politica Estera e di Sicurezza nazionale della nuova Casa Bianca,  emerge  al centro di una lotta intestina che rischia di rallentare oltre il dovuto il processo di transizione verso l’insediamento il prossimo 20 gennaio. Intanto su Capitol Hill c’è la conferma di Paul Ryan per la nomina ad un secondo mandato da Speaker della Camera. Lo hanno votato all’unanimita’ i deputati repubblicani e la conferma e’ attesa a gennaio con il voto dell’intera aula. Altra problematica è rappresentata  dalla nomina di Steve Bannon a ‘chief strategist’ della Casa Bianca. Questo  scatena la prima vera e propria bufera sul 45/mo presidente degli Stati Uniti. ‘Un generale e un brillante stratega’ per Donald Trump. ‘Un nazionalista e un razzista’ per le comunità ebraica e musulmana in America. E la scelta del controverso responsabile del sito conservatore Breitbart News, megafono della campagna elettorale del tycoon, indigna anche i democratici, che di fatto lanciano la loro prima battaglia contro il neo presidente, scendendo in campo con i loro leader in Congresso.  ‘Chi  critica Bannon non guarda al suo curriculum e alla sua esperienza’,  ha affermato Kellyanne Conway, in corsa per diventare la nuova portavoce della Casa Bianca. Ma la realtà è che la scelta di Bannon rischia di provocare malumori anche tra i repubblicani, aprendo un primo fronte con i vertici del partito. Rischiando anche di gettare le basi per un conflitto interno allo staff della Casa Bianca: tra l’establishment rappresentato dal capo del partito Reince Priebus e il ‘cerchio bianco’ che ha appoggiato il tycoon durante la campagna elettorale rappresentato proprio da Bannon. L’accusa a Bannon è quella di aver trasformato il suo sito ‘Breibart’ in uno strumento di propaganda etnica e di nazionalismo bianco, con posizioni razziste e antisemite. Per questo le principali associazioni di ebrei e musulmani negli Usa chiedono che il presidente eletto faccia un passo indietro sulla nomina: ‘Bannon deve andare via se Trump vuole davvero essere il presidente di tutti’. E non facilita a stemperare le tensioni la posizione espressa da Trump a proposito dell’attesa nomina alla Corte Suprema. La scelta, ha detto,  cadrà su un giudice anti-aborto. Il rischio è quello di riaprire su un tema così delicato un durissimo scontro sociale. Come sull’immigrazione sul fronte delle deportazioni e dei rimpatri forzati.

Roberto Cristiano

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