President Donald Trump points to guests upon his arrival at Andrews Air Force One, Md., Thursday, Jan. 26, 2017. Trump is returning from Philadelphia after speaking at the House and Senate GOP lawmakers at their annual policy retreat. ( (ANSA/AP Photo/Jose Luis Magana)

Trump, scontro con il Messico sul Muro. Asse con May

Il presidente americano Donald Trump avrà un colloquio telefonico domani con   Vladimir Putin. Si tratterebbe della prima conversazione tra i due da quando Trump si è insediato alla presidenza Usa. Il portavoce del Cremlino lo ha confermato: ‘Sì, lo confermo’, ha detto a un giornalista della Tass che gli chiedeva di confermare una notizia della Cnn secondo cui la telefonata tra i due capi di Stato è in programma per domani 28 gennaio. È il primo colloquio tra i due leader dall’insediamento del miliardario alla Casa Bianca. Secondo indiscrezioni Trump sarebbe pronto ad emanare un ordine esecutivo per revocare le sanzioni contro Mosca disposte dal presidente Barack Obama in seguito agli hackeraggi russi che hanno interferito nelle presidenziali americane, presumibilmente per favorire proprio l’elezione del miliardario e danneggiare Hillary Clinton. Lo scorso 14 gennaio, in un’intervista al Wall Street Journal, Trump si era dichiarato disponibile ad eliminare le sanzioni contro Mosca a fronte di una cooperazione nella lotta al terrorismo.  Putin, nel suo discorso di inizio anno, aveva auspicato che le relazioni tra Russia e Stati Uniti arrivassero ad un livello totalmente nuovo sullo scacchiere internazionale: ‘Le principali sfide globali e regionali che i nostri due Paesi hanno dovuto affrontare negli ultimi anni  dimostrano chiaramente che le relazioni Usa-Russia rappresentano un fattore importante per assicurare stabilità e sicurezza nel mondo moderno’. La premier britannica Theresa May,  che oggi incontrerà Trump alla Casa Bianca,  ha però consigliato prudenza: ‘Coinvolgere Putin sì,  ma stando attenti’,  ha detto ai parlamentari repubblicani riuniti a Filadelfia.  La premier britannica è volata negli Usa per il primo incontro ufficiale del presidente americano con un leader internazionale. La May scommette su Donald Trump e su una rinnovata alleanza transatlantica tra i due Paesi ancora in grado di ‘guidare il mondo’. Ma la leader tory ha parlato con i giornalisti a bordo dell’aereo, sottolineando che potrebbe interrompere la collaborazione con le agenzia di intelligence Usa nel caso in cui gli Stati Uniti dovessero adottare la tortura per ottenere informazioni negli interrogatori. La May si riferiva alla probabile apertura di carceri ‘segrete’ con la possibilità di torturare i terroristi per avere informazioni sostanziali. La linea del Regno Unito è molto chiara, avrebbe detto la premier, e il nostro approccio sulla tortura non è cambiato. Tentando una difficile ‘quadratura del cerchiò la premier ha anche difeso le istituzioni internazionali come la Nato   aggiungendo che gli alleati degli Usa debbono fare di più senza pesare solo su Washington per la loro sicurezza. Proprio come sostiene Trump: ‘I Paesi sovrani non possono affidare la loro sicurezza e prosperità all’America. E non dovrebbero minare l’alleanza che ci ha mantenuto forti non facendo la loro parte’.  Il presidente messicano Enrique Pena Nieto annulla l’incontro di martedì prossimo alla Casa Bianca perchè non vuole pagare il muro al confine con gli Usa. E Donald Trump risponde annunciando che imporrà dazi doganali del 20% sulle merci messicane importate in Usa per finanziare la barriera. È la prima crisi diplomatica,  e la prima guerra doganale per il neo presidente, investito da una bufera per il suo ordine di costruire immediatamente un muro al confine col Messico e di dare un giro di vite all’immigrazione clandestina, condito con l’ennesimo apprezzamento per il waterboarding e il licenziamento del capo della polizia di frontiera. Una stretta che sarà completata con lo stop indeterminato ai rifugiati siriani e per almeno 120 giorni a quelli di altri Paesi, con la sospensione inoltre per almeno un mese dell’immigrazione da Paesi a maggioranza musulmana,  spesso flagellati dal terrorismo, come Libia, Siria, Somalia, Sudan, Iran, Iraq, Yemen. La rottura con il presidente messicano si consuma in un duello tutto a colpi di tweet, diventato con il tycoon la nuova arena della diplomazia. ‘Pretendiamo rispetto, e comunque non saremo noi a pagare’, risponde il presidente messicano Enrique Peña Nieto,  poche ore dopo il via libera del suo omologo statunitense al muro con il Messico. O meglio, ai muri con il Messico: non c’è solo la barriera fisica che Trump vuole estendere al confine con l’America latina. C’è anche il muro politico ed economico che tra i due Paesi sembra diventare sempre più consistente, con la svolta protezionista degli Usa, con la guerra dichiarata dall’inquilino della Casa Bianca all’accordo di libero scambio Nafta, il ‘North American Free Trade Agreement’,  condito  dalla possibilità di una tassa del 20% sulle importazioni dal Messico che servirebbero a coprire i costi della costruzione del muro. Secondo il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, l’imposta permetterebbe di raccogliere 10 miliardi di dollari l’anno. Mercoledì Peña Nieto aveva inviato una delegazione a trattare con l’amministrazione statunitense. Ma la firma del presidente Usa, apposta ieri sotto il decreto che dà il via libera agli oltre 3100 chilometri di muro, proprio nelle ore in cui due membri del governo di Città del Messico si trovavano a Washington, ha suscitato le ire dei messicani. Così in un discorso televisivo Peña Nieto ha mostrato le unghie: ‘L’ho detto e ripetuto, non sarà certo il mio Paese a pagare le spese del muro’. Il presidente messicano non aveva  disdetto  il faccia a faccia previsto per martedì prossimo a Washington. Poi Trump gli ha risposto in modo secco: ‘Se non vuole pagare il muro, allora tanto vale che Peña Nieto annulli il nostro incontro’. E  Nieto su Twitter ha risposto: ‘Questa mattina abbiamo informato la Casa Bianca che non parteciperemo alla riunione programmata il prossimo martedì con il presidente degli Usa.  In contemporanea le proteste per il Muro con il Messico  rimbalzano sui social soprattutto grazie all’hashtag incendiario #FuckingWall, coniato dall’ex presidente messicano, Vicente Fox Quesada. Resta da vedere se la reazione apparentemente dura di Nieto si trasformerà in una vera frattura politica tra i due governi. Arriva poi  una precisazione della Casa Bianca attraverso il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, che ha precisato che quella di imporre dazi doganali del 20% sulle merci messicane importate in Usa per finanziare la costruzione del muro è solo una tra le ipotesi al vaglio di   Trump: ‘Il nostro lavoro al momento non è presentare qualcosa o di essere prescrittivi  ma di dimostrare che ci sono modi per pagare la costruzione del muro. Punto. Tutto qui’. Nel frattempo  Trump ha licenziato Mark Morgan, l’agente dell’Fbi a capo della ‘United States Border Patrol’. L’agenzia si occupa di controllare le frontiere degli Usa, con la lotta agli ingressi illegali, i traffici e i contrabbandi. Il dirigente è stato costretto a lasciare dopo che il presidente ha ordinato la costruzione del muro. Morgan era stato nominato alla guida dell’agenzia (20mila agenti) lo scorso giugno. A lui si aggiungono le dimissioni di quattro diplomatici incaricati della gestione del Dipartimento di Stato. Altri due avevano lasciato la scorsa settimana. L’ufficio è rimasto praticamente senza staff di gestione, situazione che complica non poco il lavoro di Rex Tillerson, nominato da Trump come nuovo segretario di Stato. Il dimissionario più importante è il sottosegretario di Stato per la gestione, Patrick Kennedy, che ricopriva l’incarico da nove anni. Trump ha rinviato anche  la firma di un’azione esecutiva con cui chiedere l’apertura di un’inchiesta su presunti brogli elettorali.

Roberto Cristiano

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