Il governo Draghi nei suoi primi cento giorni di vita ha fatto registrare, indubbiamente, un successo in termini di contenimento della pandemia, ma è stato, ad oggi, del tutto deludente in tema di riforma per le politiche del lavoro. La sensazione è che non si stia dedicando la stessa cura ed attenzione come avviene per la transizione ecologica e quella digitale. In linea di principio il lavoro avrebbe dovuto avere nel Pnrr il diritto al rango di riforma, così come è avvenuto per gli altri temi trattati. Non è stato possibile perché Bruxelles non avrebbe accettato di finanziare le cosiddette politiche passive, riscrittura degli ammortizzatori sociali, e così le scelte per l’occupazione hanno perso un criterio ordinatore. Occorreva mettere in campo un programma di medio termine. Invece tutto sembra essere dettato dal posizionamento politico del Ministro di turno. E’ il solito limite della politica italiana che usa il lavoro come un ministero bandiera. In pratica le pagine dedicate nel Pnrr al lavoro, sono rimaste in buona sostanza quelle elaborate dal governo Conte, si può dire che l’attuale ministro non si sia sforzato più di tanto, con l’unica differenza di aver dato più soldi alle strutture esistenti. Ma con questo non le si sono rese più efficienti. Questo vale per i centri per l’impiego che andrebbero ripensati e rifondati totalmente. Intanto si avvicina la scadenza della riforma degli ammortizzatori sociali e sembra prevalere la forma più dispendiosa, quella della “Cassa per tutti”, una scelta che può essere vista come tampone, ma che non possiamo permetterci sine die. E questa sorta di improvvisazione, di togliere e mettere toppe, lo si può vedere in un ultimo episodio di qualche giorno fa: un’ennesima tipologia di contratto che presenta notevoli contraddizioni e rischia l’inefficacia totale. L’ultima bizzarra invenzione si chiama contratto di rioccupazione, che dovrebbe essere un contratto a tempo indeterminato con decontribuzione semestrale e subordinato ad un progetto di reinserimento ad personam. Ma per mancanza di fondi sufficienti potrebbe essere applicato solo alle piccole aziende e alle micro imprese, quelle meno adatte ad elaborare un progetto di inserimento individualizzato. Un disastro tutto all’italiana, che fa veramente piangere/ridere e ci mostra un Ministro del lavoro Andrea Orlando incapace di guardare al di là del proprio naso e in evidente antitesi con la narrazione di un governo che non pensa solo all’oggi ma anche al domani. Senza trascurare il fatto che quest’ultima trovata va a sommarsi al blocco dei licenziamenti fino al 28 agosto. Ormai di reindustrializzazione non si parla più : siamo passati al contratto di inattività.
Andrea Viscardi