Rosalba Castro, moglie di Salvatore Failla, al Policlinico Gemelli di Roma, 10 marzo 2016. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Uccisi in Libia e autopsia: ‘Piano ucciso con diversi colpi ma non è stata una esecuzione’

 

E’ morto per diversi colpi che lo hanno raggiunto nella parte superiore del corpo Fausto Piano, il tecnico della Bonatti ucciso in Libia. Lo ha accertato l’autopsia compiuta nell’Istituto di medicina legale del Policlinico Gemelli. Anche per Piano, così come per Failla, nessun colpo alla testa, segno che non si è trattato di un’esecuzione. Arriverà domani mattina nell’aeroporto di Elmas la salma di  Piano, come riferisce il sindaco di Capoterra, Francesco Dessì. L’aereo decollerà da Roma verso 8 e un’ora dopo è previsto l’arrivo in Sardegna. L’autopsia nella Capitale si è conclusa ieri pomeriggio, seguita dell’autorizzazione alla riconsegna del corpo ai familiari. Intanto a Capoterra, paese natale di Piano, sono già iniziati i preparativi per dare l’ultimo saluto a Piano. La camera ardente sarà allestita nell’aula consiliare del Comune. Mentre i funerali, come già indicato in mattinata, si svolgeranno alle ore 15 nel palazzetto dello sport. Le nostre perplessità sull’autopsia eseguita in Libia si sono rivelate fondate. Il prelievo di parte di tessuti corporei ha reso impossibile l’identificazione dell’arma usata, la distanza e le traiettorie. ‘Non è stata un’autopsia quella eseguita in Libia ma è stata una macelleria’, dice l’avvocato Francesco Caroleo Grimaldi che ha commentato l’esito dell’autopsia eseguita oggi sul cadavere di Salvatore Failla. E’ stato fatto qualcosa che ha voluto eliminare l’unica prova oggettiva per ricostruire la dinamica dei fatti. Il penalista, che assiste i familiari di Salvatore Failla, ha tuttavia riconosciuto l’impegno dei rappresentanti italiani in Libia che si sono battuti per evitare questo scempio. Nessuno dei sequestratori dei tecnici della Bonatti rapiti in Libia parlava italiano, ha detto Filippo Calcagno, nel corso di un’intervista a Radio Anch’io: ‘No, tra i sequestratori no’, ha risposto a chi gli chiedeva se c’era in effetti uno dei sequestratori che parlava italiano. Però ci dissero che siccome quelle registrazioni dovevano essere fatte in italiano dovevamo stare attenti di non dire altre cose che non fossero quello che veniva suggerito, perché c’era qualcuno che capiva quello che veniva detto, perché loro dovevano farlo sentire a qualcuno. Il rimpatrio delle salme è avvenuto ad una settimana dalla morte, al termine di lunghe trattative con i libici e attraverso modalità definite ‘penose’ dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Dopo giorni di indiscrezioni che avevano fatto pensare ad un’accelerazione su un intervento militare a guida italiana in Libia, è stato il ministro degli Esteri ad assicurare al Parlamento che ‘la guerra’, almeno per il momento, non è alle porte:
‘E’ vero che l’Italia sta coordinando con gli alleati la pianificazione di un’eventuale missione militare. Ma questa ci sarà se e quando lo chiederà un governo libico legittimo. E, comunque, nel rispetto della Costituzione, e solo dopo il via libera del parlamento italiano’.
Il ministro ha tuttavia invitato a non confondere la legittima difesa con la stabilità della Libia: ‘Il contrasto al terrorismo deve basarsi su uno straordinario impegno informativo, quando necessario su azioni circoscritte’, spiegando il senso del decreto approvato a dicembre che prevede che in certi casi, operazioni d’intelligence possono richiedere il supporto di unità militari. Nelle stesse ore, in un’audizione al Copasir, Pinotti ha assicurato che non sono presenti in Libia forze speciali militari, e Gentiloni ha garantito che nel caso vi fossero operazioni speciali il parlamento ne verrebbe informato attraverso lo stesso Comitato di controllo dei servizi. Informativa, però, che secondo il decreto potrebbe avvenire anche ‘ex post’. Il nodo resta intanto quello di un governo libico unitario e legittimo che possa avanzare una richiesta di aiuto al Consiglio di sicurezza Onu. ‘Per quanto fragile, è la sola base su cui lavorare’, ha sottolineato il titolare della Farnesina. Ma è una base che a tutt’oggi ancora non c’è, e che sembra sfumare ogni settimana di più. Dichiarazioni che l’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha definito nell’aula di Palazzo Madama ‘condivisibili ma criptiche’, apprezzando la prudenza del governo ma invitando a non inseguire un pacifismo vecchio stampo che non corrisponde alla realtà. E’ stato poi Gentiloni, nella replica pomeridiana a Montecitorio, a spiegare che l’Italia sta lavorando, insieme all’Onu e agli alleati, ad un piano che consenta di superare l’impasse del parlamento di Tobruk. Cioè permettere alla maggioranza favorevole al premier designato Fayez al Sarraj di esprimersi nonostante le minacce degli estremisti per avere un primo passo di legittimazione. Una sorta di ‘piano B’ per sbloccare la situazione e andare avanti, evocata la settimana scorsa a New York anche dall’inviato speciale dell’Onu, Martin Kobler, e sulla quale discuteranno nei prossimi giorni a Parigi i ministri degli Esteri di Italia, Francia, Usa, Germania, Gran Bretagna e Ue.

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