Dopo giorni di speranza nel funzionamento dei canali diplomatici, l’avvio all’alba del 24 febbraio dell’operazione militare russa in Ucraina ha fatto crescere i timori verso un allargamento del conflitto. Tra gli analisti e sui social c’è già chi inizia a parlare di terza guerra mondiale. Anche se si tratta solo uno scenario, sono diversi i motivi che lo potrebbero rendere possibile.
Prima di tutto la richiesta di Paesi Baltici, Polonia e Romania di attivare l’articolo 4 della Nato, scattata subito dopo l’inizio delle operazioni russe in Ucraina. L’articolo in questione prevede che “le parti si consulteranno ogni volta che, nell’opinione di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti fosse minacciata“.
L’Ucraina non fa parte della Nato, quindi non possono scattare le misure difensive come se si trattasse di un’aggressione nei confronti di uno stato membro. La richiesta dei paesi dell’Europa dell’Est, però, mette nero su bianco che l’operazione russa potrebbe minacciare direttamente paesi aderenti alla Nato.
La possibile minaccia a paesi Nato apre le porte all’eventualità di un’estensione del conflitto. Da un lato, quindi, ci sarebbero gli Stati Uniti e i paesi Nato, tra i quali anche l’Italia, che si muoverebbero in difesa dei propri paesi orientali. Dalla parte della Russia potrebbe invece schierarsi la Cina che nei giorni scorsi ha invitato l’Occidente ad abbandonare le sanzioni e a percorrere in altro modo la via diplomatica.
Grande cautela tra le nazioni del Medio Oriente, molte delle quali stanno osservando il conflitto senza esporsi. Solo la Siria, fedele alleata di Putin nell’area, ha annunciato il riconoscimento dell’indipendenza delle autoproclamate repubbliche di Luhansk e Donetsk.
Nonostante la tensione stia salendo da giorni, con la Nato che ha iniziato a mobilitare le proprie forze verso i confine orientale, la reazione di fronte alle operazioni militari russe non è scattata perché l’Ucraina non fa parte dell’Alleanza Atlantica. Nessuno degli stati membri è stato aggredito.
Al momento gli stati che fanno parte della Nato sono 30. È stata proprio la possibilità di inserire nel meccanismo di adesione paesi come la Bosnia Erzegovina, Georgia e l’Ucraina ad aver accelerato la crisi con la Russia.
Un’eventualità inaccettabile per Mosca che vede nell’Ucraina un paese da assoggettare alla propria sfera di influenza. Una ‘fascia di sicurezza’ tra la Russia e i paesi dell’Occidente.
Intanto le organizzazioni pacifiste stanno chiedendo di riprendere i negoziati. Tra queste c’è la Tavola della pace, che ogni anno organizza la Marcia PerugiAssisi e che ha già lanciato l’allarme per una possibile guerra globale.
“Negoziate su tutto. Anche nelle condizioni più difficili e sui temi più intrattabili posti dalla Russia. L’alternativa è una catastrofica guerra globale che devasterà l’Europa e non avrà vincitori”, hanno scritto in una nota.
“Siate realisti”, continua la nota. “Queste sono le ore in cui dobbiamo spezzare le leggi della guerra e la logica dello scontro. Non possiamo aspettare che sia il governo russo a fare il primo passo. Negoziare non vuol dire cedere alla guerra e alla legge della forza ma fermare la sua pericolosa escalation militare”.
Da qualche settimana si sta parlando tantissimo della possibilità che possa scoppiare una Terza Guerra Mondiale. Si tratta di una notizia che sta terrorizzando il mondo sin da quando le minacce di invadere l’Ucraina da parte della Russia sono diventate realtà nella notte tra il 23 e il 24 febbraio con l’attacco delle truppe di Mosca.
Diversi osservatori di tutto il mondo sono piuttosto discordi su quanto sta avvenendo tra i due paesi, anche se una cosa è sicura: se Putin dovesse davvero invadere Kiev gli Stati Uniti invierebbero dei soldati contro i russi, coinvolgendo tutto il blocco NATO. Una mossa che senza ombra di dubbio trascinerebbe l’intero pianeta in un conflitto di portata incredibile e mai raggiunta prima nel corso della storia.
In tutto questo, perciò, i timori della popolazione mondiale sono sempre di più, tant’è che in molti hanno rispolverato una citazione di Albert Einstein. Parole che il celebre fisico aveva pronunciato proprio parlando delle guerre mondiali, all’indomani della conclusione del secondo conflitto mondiale.
“Io non so con quali armi sarà combattuta la Terza Guerra Mondiale – disse Einstein – ma la Quarta Guerra Mondiale sarà combattuta con pietre e bastoni”.
Una metafora ben chiara che voleva sottendere le possibilità distruttive che già all’epoca (Einstein morì nel 1955 ma quella sua citazione dovrebbe risalire a qualche anno prima, ovvero al 1949) avevano raggiunto le armi di distruzione di massa che, a maggior ragione oggi, porterebbero l’intero pianeta verso la catastrofe totale. Ovvero a passare, come nelle parole del fisico più famoso della storia, dalle incredibili capacità tecnologiche di oggi alle più rudimentali “pietre e bastoni”. Einstein, d’altronde, nonostante i suoi studi si rivelarono fondamentali nello sviluppo della bomba atomica, si oppose sin dall’inizio all’utilizzo militare dell’energia nucleare e non fu parte del Progetto Manhattan (che portò alla realizzazione delle bombe che furono sganciate su Hiroshima e Nagasaki). Le sue parole, all’epoca, si riferivano quindi alle potenzialità distruttive dell’energia nucleare. Ma quanto suonano attuali anche al giorno d’oggi?
Il riconoscimento delle «repubbliche» indipendenti del Donbass da parte della Russia ha sbloccato la prima batteria di sanzioni occidentali, dopo la guerra di nervi delle ultime settimane.
Il sistema bancario del Cremlino è tra i bersagli individuati sia dagli Stati Uniti che dall’Unione europea: l’obiettivo è togliere l’ossigeno del dollaro (e dell’euro) ai circuiti moscoviti, ma delle tre banche colpite – VEB.RF, Bank Rossiya e la banca militare Promsvyazbank – le prime due operano da anni sotto il giogo delle sanzioni occidentali e la terza aveva presagito questa eventualità e si era già equipaggiata. Oltre alle banche, l’Europa intende colpire 351 parlamentari della Duma e un’altra manciata di oligarchi russi, che subiranno anche la scure americana. In realtà il peso di queste sanzioni non impensierisce di certo Putin. Ci sono poi le sanzioni sul debito sovrano russo ma è bene chiarire che gli europei hanno frenato bloccando Biden sulle misure forti. Riguardo al debito sovrano l’obiettivo è impedire al governo di Mosca l’accesso ai mercati dei capitali europei e americani, limitando il finanziamento delle politiche pubbliche. In pratica nessuno potrà più scambiare titoli di Stato russi fuori dalla Russia. E benché il debito pubblico russo sia contenuto e il Cremlino negli ultimi anni stia riducendo la sua dipendenza dagli investitori stranieri (il debito pubblico detenuto all’estero è diminuito di altri due miliardi e mezzo nel 2021), un simile provvedimento potrebbe indebolire ulteriormente il rublo, scuotere il mercato azionario russo e congelare lo scambio di obbligazioni governative. D’altronde la borsa di Mosca ha già perso il 30 per cento del valore negli ultimi 4 mesi, mentre il rublo ha toccato i minimi degli ultimi 15 mesi. Ora che la prima tranche di sanzioni è stata approvata, si intensifica il confronto su come rispondere in caso di escalation, per esempio se Mosca decidesse di invadere il resto del territorio del Donbass o bloccasse l’accesso al porto di Odessa. Il tema è stabilire una correlazione tra sanzioni e gravità degli eventi. Stati Uniti e Unione europea potrebbero interrompere la fornitura di tecnologie alle aziende sanzionate, dai semiconduttori alle componenti per l’aviazione, smantellando le catene di produzione e ostacolando settori strategici per la Russia, come l’industria della difesa o quella aerospaziale. Sempre che Xi Jinping non accorra in aiuto di Putin, dato il loro comune intento di indebolire il posizionamento di Washington sullo scacchiere internazionale.
Ci sarebbero poi sanzioni sui pagamenti internazionali escludendo dal mercato la Russia, penso allo Swift per i bonifici internazionali, ma un’azione del genere sarebbe poi un’arma a doppio taglio: le banche italiane e francesi (Unicredit e Société Générale in testa) sono esposte per oltre 30 miliardi di dollari in Russia e non potrebbero più incassare quei crediti. E la credibilità di Swift come intermediario affidabile sarebbe messa a rischio. A sentire Washington, la madre di tutte le sanzioni è l’assalto al settore energetico: basti pensare che petrolio e gas naturale rappresentano circa la metà delle esportazioni russe e delle entrate del governo, e il rublo è fortemente correlato al prezzo del petrolio. Altro versante riguarda il gas ma il 38% del gas naturale proviene da Mosca. E come si super l’inverno senza il gas russo? Quanto all’impatto sulle casse moscovite, qualche miliardo in meno dal gas non sarebbe poi gran cosa. «Le entrate maggiori vengono dal petrolio, che è più difficile da sanzionare» continua Tagliapietra, «non servono gasdotti per trasportarlo, il mercato del petrolio è come un’unica grande piscina: se la Germania non lo compra, la Russia può spedirlo tutto in Asia con i container». A coronare il quadro, il prezzo del petrolio veleggia ormai verso i 100 dollari al barile e, secondo le stime, il Cremlino potrebbe finanziare la sua spesa pubblica per intero anche se il petrolio venisse venduto per soli 44 dollari al barile. La morale della storia è che non c’è sanzione a costo zero e non è sempre chiaro quale parte subirà i costi maggiori, la leva dell’energia lo dimostra.