L’Ucraina fa la sua mossa. Dopo la decisione della Russia di riconoscere le due repubbliche secessioniste del Donbass, in Ucraina, e la conseguente risposta dell’Ue che ha imposto dure sanzioni ai russi, il Consiglio di sicurezza ucraino ha chiesto lo stato di emergenza nel Paese per fronteggiare una sempre più probabile invasione.
Il presidente ucraino Zelensky ha inoltre confermato l’intenzione dell’Ucraina di aderire all’Ue e alla Nato, in aperto contrasto con la richiesta di Putin di rinunciare alle proprie ambizioni.
Zelensky ha detto in tv: “È arrivato il momento di reagire, di reagire con forza”, commentando le sanzioni imposte dall’Ue. Poi ha aggiunto: “Il destino dell’Europa si decide sul campo in Ucraina”.
Il segretario del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale ucraina, Oleksiï Danilov, ha precisato che ora la scelta di proclamare lo stato di emergenza spetta al Parlamento ucraino, entro 48 ore. Lo stato di emergenza non riguarda le autoproclamate Repubbliche di Donetsk and Lugansk.
L’esercito di Kiev, inoltre, ha reso noto che è iniziata la mobilitazione dei riservisti tra i 18 e i 60 anni. Il presidente Volodymyr Zelensky, riporta l’agenzia Tass, ha firmato il decreto.
Inoltre, riferisce sempre l’agenzia Tass, il Parlamento ucraino ha approvato la legge per consentire ai civili di acquistare e possedere armi. La norma, come spiega l’agenzia, si inserisce nel rispetto del diritto alla protezione previsto dall’articolo 27 della Costituzione ucraina.
Per quanto la via diplomatica non risulti ancora del tutto serrata, appare sempre più probabile lo scoppio di una guerra. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, riferendo in Parlamento, ha detto che gli sforzi si concentrano “su ogni iniziativa diplomatica che possa scongiurare una guerra. Una soluzione che riteniamo ancora possibile, anche se con margini che si riducono di giorno in giorno”.
Dal canto suo, il presidente russo Vladimir Putin ha lanciato un ultimatum per disinnescare il rischio di una possibile guerra. Putin ha ribadito che gli interessi e la sicurezza della Russia “non sono negoziabili”, anche se il presidente si dice “aperto al dialogo”.
In un discorso andato in onda in tv, Putin ha detto che la Russia è “sempre aperta al dialogo diretto e onesto per trovare soluzioni diplomatiche ai problemi più complessi”.
“Grande preoccupazione per le notizie che arrivano dall’Ucraina e che coinvolgono la stabilità di tutta l’Europa”, viene espressa dalla presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che si dichiara convinta da sempre “che il rispetto del diritto internazionale sia alla base della convivenza pacifica tra gli Stati e condanna fermamente il riconoscimento unilaterale da parte della Federazione russa delle repubbliche separatiste del Donbass”.
“Difendiamo il diritto degli Stati sovrani e democratici dell’Est Europa di scegliere liberamente il loro destino occidentale ed europeo – prosegue una nota – Fratelli d’Italia sostiene l’appartenenza dell’Italia al blocco occidentale e alla NATO senza ambiguità, soprattutto difronte a crisi di ampia portata come questa. Sosterremo ogni iniziativa per difendere l’integrità territoriale degli Stati europei. Sosteniamo da sempre la necessità di trovare un equilibrio che assicuri una pace secolare tra Europa e Federazione russa. Sotto questo aspetto abbiamo reputato un errore la strategia voluta dalle amministrazioni democratiche USA che con Obama prima e Biden ora hanno contribuito alla drammatizzazione della situazione, spingendo sul tema della imminente adesione dell’Ucraina alla NATO e consentendo così a Putin di agitare lo spettro della minaccia alla sicurezza nazionale russa. Denunciamo ancora una volta la debolezza geopolitica e diplomatica dell’Unione Europea, aggravata dalla sua dipendenza energetica, ancora una volta inadeguata davanti ai grandi eventi della storia”.
Fratelli d’Italia poi chiede il coinvolgimento del Parlamento sul ruolo dell’Italia: “Sosteniamo l’appello lanciato dalla comunità internazionale alle parti in causa per un immediato cessate il fuoco e contestuale ritiro delle truppe russe dal Donbass, per la riapertura di un tavolo negoziale che porti ad una immediata de-escalation della crisi, al ripristino e al rispetto degli accordi di Minsk, sulla base del reciproco riconoscimento delle esigenze di sicurezza. Rinnoviamo la richiesta al premier Draghi di riferire immediatamente alle Camere sull’evoluzione della crisi e sulla posizione assunta dal governo, nonché di convocare senza indugio gli organismi preposti alla sicurezza nazionale”.
Mario Draghi riferirà la prossima settimana alla Camera sulla crisi fra Russia e Ucraina. Lo ha confermato il ministro Federico D’Inca al presidente Roberto Fico. La richiesta era giunta con forza nelle scorse ore da FdI, che aveva chiesto anche al premier di «convocare senza indugio gli organismi preposti alla sicurezza nazionale».
«Grazie alle pressioni di Fratelli d’Italia, il presidente del Consiglio Draghi verrà in Aula a riferire sulla crisi in Ucraina. Un atto doveroso nei confronti del Parlamento e degli italiani», ha commentato su Facebook, Giorgia Meloni, mentre è stato il capogruppo di FdI alla Camera, Francesco Lollobrigida, a sottolineare che «se pur in clamoroso e ingiustificato ritardo rispetto all’urgenza dettata dal rapido sviluppo della situazione, Draghi ha dovuto ricordare il ruolo centrale del Parlamento italiano e l’importanza di illustrare la posizione ufficiale del governo di fronte a una escalation che coinvolge l’intera Europa».
«FdI ha preteso e ottenuto questo risultato in nome del rispetto dovuto a chi rappresenta, attraverso il voto, il popolo italiano», ha sottolineato Lollobrigida, che ancora in mattinata aveva dovuto constatare che «la Germania si sta muovendo, la Francia si sta muovendo, è possibile che con la sua presunta autorevolezza anche il presidente del Consiglio stia facendo qualcosa, si stia muovendo. Ma invece di dirlo sui social dovrebbe venire a spiegarlo in Parlamento».
E una sollecitazione a Draghi è arrivata anche dal Copasir. «Nel corso dell’odierna seduta – ha spiegato il presidente Adolfo Urso – il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha convenuto di rinnovare l’invito al Presidente del Consiglio dei ministri a intervenire in audizione, anche in relazione alla grave crisi in corso in Ucraina e le possibili ricadute sulla sicurezza nazionale del Paese, in considerazione di quanto stabilito dalla legge n. 124 del 2007 che attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri l’alta direzione e la responsabilità generale della politica dell’informazione per la sicurezza».
Se l’Ucraina entrerà nella Nato e si doterà di armi nucleari, “sarà una minaccia strategica per la Russia”. Lo ha ripetuto ancora una volta il presidente russo Vladimir Putin in una conferenza stampa dal Cremlino in cui ha elencato le richieste al governo di Kiev per fermare le operazioni militari. Richieste che sono suonate come un ultimatum, considerando anche che più tardi in serata, parlando alla tv, Putin ha dichiarato che “i nostri interessi non sono negoziabili”.
Vladimir Putin ha ribadito quanto va dicendo da tempo: l’adesione dell’Ucraina alla Nato e il suo possibile dotarsi di armi nucleari rappresenta un pericolo per la sicurezza della Russia.
“L’Ucraina ha avuto, nel suo passato sovietico, competenze nucleari molto vaste, in termini di reattori, tecnologia, conoscenze, specialisti. Sarebbe molto facile dotarsi di armi nucleari rispetto ai Paesi che devono iniziare da zero”.
“Non sono in grado di arricchire l’uranio – ha continuato – ma è solo una questione di hardware, non è un problema che non siano in grado risolvere. Quanto ai sistemi di lancio di queste potenziali armi nucleari, hanno vecchi missili sovietici che possono colpire obiettivi a centinaia di chilometri di distanza”.
“Se l’Ucraina si doterà di armi nucleari tattiche – ha detto – sarà una minaccia strategica per la Russia. Ed è quello che consideriamo ora. Una volta che hai una capacità di lancio di cento chilometri, poi ce l’hai di duecento, poi di trecento. Mosca sarebbe a portata di un missile nucleare. È per questo che consideriamo la questione tanto seriamente”.
Per questo per il presidente russo “la soluzione migliore” sarebbe la smilitarizzazione dell’Ucraina e la sua rinuncia “all’ambizione di aderire alla Nato”.
Non solo: Putin chiede all’Ucraina di riconoscere l’annessione della Crimea alla Russia e l’indipendenza delle due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk. Nel suo discorso però lo “zar” ha introdotto una importante novità che può portare ad un’ulteriore escalation militare.
Putin ha affermato che la Russia ha riconosciuto la sovranità delle due repubbliche di Donetsk e Luhansk secondo i confini previsti “quando erano parte dell’Ucraina”. “Riconosciamo la loro costituzione – ha detto – e nelle costituzioni, i confini sono definiti entro i confini delle regioni di Donetsk e Luhansk, al momento in cui erano parte dell’Ucraina”.
Ciò significa il riconoscimento non soltanto dei territori occupati dal 2014 dai separatisti filorussi ma dell’insieme dei due Oblast (le regioni ucraine) di Donetsk e Luhansk, che comprendono zone ancora sotto il controllo di Kiev, tra cui l’importante porto di Mariupol.
Anche per questo Putin è rimasto ambiguo sulle prossime mosse di Mosca nel Donbass: “L’ingresso dell’esercito russo dipenderà dalla situazione sul terreno”, ha spiegato. Ma nel frattempo si è fatto autorizzare dal Senato a usare la forza militare al di fuori dei confini russi con l’invio delle cosiddette truppe di “peacekeeping” in territorio ucraino.
Dopo il riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche separatiste del Donbass, il Cremlino si aspetta dal governo ucraino la rottura delle relazioni diplomatiche e ha ordinato l’evacuazione delle sue rappresentanze diplomatiche in Ucraina.
Kiev ha risposto alle pretese russe assicurando che le forze ucraine non si ritireranno, come detto, dal Donbass e dalla linea di demarcazione con i territori occupati dai separatisti filorussi.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato al Parlamento di Kiev che intende richiamare nell’esercito i riservisti per un periodo straordinario di fronte alla minaccia dell’invasione russa, escludendo però una mobilitazione generalizzata della popolazione.