Vladimir Putin oggi è un uomo deciso ad andare fino in fondo in uno stato di “delirio di onnipotenza” di cui lo stadio di Mosca, gremito per l’anniversario dell’annessione della Crimea, “è stato la plastica dimostrazione”: Paolo Garimberti analizza così il discorso del presidente russo che ha offerto al mondo una prova di forza e di unità mentre in Ucraina l’esercito di Mosca continua a bombardare. “Si parla di 200mila persone dentro e fuori lo stadio”, commenta il giornalista, “una scritta in particolare mi ha disturbato, quella che diceva ‘per un mondo senza nazismo’”, dice venerdì 18 marzo intervenendo a Stasera Italia, programma di Rete 4.
Non a caso il riferimento al nazismo era stato alla base dell’annuncio dell’attacco militare all’Ucraina, quando Putin aveva parlato di “denazificazione” del Paese, ricorda Garimberti. “E questo mentre a Kiev c’è un presidente ebreo”, Volodymyr Zelensky, “che ha avuto alcuni familiari internati e uccisi ad Auschwittz”, per questo quella particolare scritta “l’ho trovata rivoltante”.
Tra gli ospiti di Barbara Palombelli c’è anche Alessandro Sallusti, che riprende il discorso di Garimberti e sottolinea come in realtà per Putin i nazisti sono gli occidentali. Il presidente russo ha una visione diversa da quella che abbiamo noi, rimarca il direttore di Libero, e quando parla di combattere i nazisti parla di noi. Sul tavolo anche i rapporti dell’Europa e non solo che hanno stretto relazioni economiche sempre più strette con la Russia soprattutto per le forniture energetiche, sorvolando sul deficit di democrazia del Paese. Sallusti sottolinea i tentativi che da più parti sono stati fatti, a partire da Silvio Berlusconi, “per tenerlo agganciato all’Occidente, di non isolarlo”. Ma il vero “cortocircuito logico”, sottolinea il direttore di Libero, è che “ogni giorno gli diamo una montagna di milioni per le forniture di gas con cui Putin finanzia questa guerra. Il vero equivoco è oggi, non tanto sul passato” rimarca Sallusti.
Non ci sarà, speriamo, una guerra mondiale ma di certo il mondo non sarà più come prima indipendentemente dal risultato della guerra combattuta sul campo ucraino. La svolta irreversibile è nelle parole prima del presidente americano Joe Biden poi della ministra degli Esteri britannica Liz Truss che hanno definito Putin un “criminale di guerra” e lasciato intendere che la raccolta di prove per mandarlo sotto processo all’Alta Corte dell’Aja è a uno stadio avanzato e forse già sufficiente. Se davvero Putin sarà incriminato come criminale di guerra significa che non solo lui non potrà mai più mettere piede fuori dalla Russia pena l’arresto ma che l’intera Russia, fino a che lui ne sarà al comando, sarà condannata all’isolamento internazionale.
Quando, speriamo il prima possibile, finirà la guerra calda inizierà quindi una nuova guerra fredda, certamente meno cruenta ma non meno pericolosa di quella a colpi di bombe. Non so quanto sia stato furbo avanzare questa ipotesi di incriminazione con i cannoni russi che ancora sparano sui civili ucraini, cioè non sappiamo se questa minaccia estrema porterà Putin a più miti consigli o se viceversa, perso per perso, deciderà di portare la sua follia ancora oltre per fare vedere a noi e ai russi che lui nulla teme. Certo i suoi crimini sono quotidianamente sotto gli occhi del mondo e non c’è giustificazione che regga: non si bombarda un ospedale di bambini, come è accaduto ieri l’altro, per punire eventuali ambizioni dei paesi Nato, non si spara a casaccio su civili inermi.
In questo senso Putin la guerra l’ha persa un minuto dopo averla iniziata o quantomeno appena è stato chiaro che il suo obiettivo, pure quello discutibile, non era di liberare dal controllo di Kiev porzioni di Ucraina a maggioranza filorussa. No, Putin voleva e vuole prendersi tutto uno Stato indipendente con la forza e sperava di riuscire a farlo con un conflitto a bassa intensità. È incredibile che lui, o chi per lui, abbia sbagliato così clamorosamente analisi e previsioni sul conflitto e sulla reazione del mondo occidentale che ha pure resistito alla tentazione di cadere – rispondendo con le armi – nella trappola delle continue provocazioni fatte sulla pelle di civili inermi e indifesi. Ma la storia insegna, il tiranno opposto alla democrazia vince il primo round ma quasi mai esce vivo dal ring.