‘C’è già una vecchia maggioranza in Ue’. ‘Schiaffo ai Conservatori’. ‘La ritirata di Meloni’. La realtà è che alla cena dei 27 leader europei non si è deciso proprio nulla sui cosiddetti ‘top job’, a partire dalle presidenza della Commissione e del Consiglio Ue, né – fatto più importante – sui destini della prossima legislatura: il dossier che interessa di più all’Italia e a Giorgia Meloni in particolare. L’errore di fondo di certi vincitori (nel Ppe) e soprattutto dei vinti (socialisti, liberali) è quello denunciato più volte proprio dalla leader di Ecr-FdI: partire dai nomi e dai veti e pensare di costruire ancora attorno a questi l’architettura.
Non si è risolto un bel niente, anche con il soccorso dei verdi ad una nuova avventura, realtà rigettata in blocco dai Popolari. Parlare di Green Deal agita in modo particolare le opinioni pubbliche nazionali.
L’uscita pretenziosa del negoziatore del Ppe Donal Tusk: ‘No alle destre, abbiamo già la maggioranza’, va interpretato come l’inizio di una partita lunga. Il premier polacco non ha colto che non si gioca più in un solo senso, come non è stato colto da Emmanuel Macron, che pensava di aver già stabilito che fosse Mario Draghi il successore di Ursula Von der Leyen. Olaf Scholz, l’eterno illuso, identicamente pensava di poter stabilire l’agibilità dell’Italia, della premier italiana e della sua destra in Europa.
Il quadro politico in Europa è mutato e Giorgia Meloni ha ottenuto risultati importanti sui dossier e grande consenso elettorale che ne ha fatto – unico governo, fra i Paesi fondatori, a uscire vincitore dalle urne – la guida di chi auspica una nuova configurazione dell’agenda e della meccanica fra gli Stati e Bruxelles. Ecco perché l’esecutivo e la premier faranno di tutto, da un lato, per rivendicare il peso dell’Italia ai vertici della Commissione; e dall’altro per sostituire la ‘mappa’ delle priorità. Una correzione fondamentale per correggere le regole, de-industrializzazione e monetarismo.