Al teatro Trastevere di Roma fino al 10 aprile è in scena “Capitano Ulisse” di Alberto Savinio, per regia di Andrea Martella.
La pièce è il terzo capitolo della TRILOGIA DELL’AVANGUADIA che vede impegnata la compagnia Hangar Duchamp che continua incessantemente la sua ricerca e sperimentazione. Riuscendo negli intenti!
Alberto Savino, pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico, intellettuale eclettico, fratello del pittore Giorgio de Chirico, scrisse quest’opera nel 1925.
Nato ad Atene, subì il fascino della storia e della mitologia ellenica, riproponendola però in una nuova chiave, quella dubbiosa del secolo breve.
Ulisse non è più il grande condottiero, quello che con il cavallo di Troia riesce ad aggirare l’ostacolo, facendo vincere, grazie al suo ingegno, alla Methis che lo contraddistingue, la lunga guerra tra i greci e i troiani.
No, è un uomo confuso, che crede di volere quello che realmente non vuole.
Interpretato da Flavio Favale, l’eroe non più così eroico, è un uomo qualunque, contraddittorio e per niente affatto connesso con se stesso. L’attore riesce a restituire con il suo corpo desiderabile ed il suo viso maschio tutta l’ossessione, corrisposta, per le donne che ha amato ma che ha lasciato. Tutte donne costrette alle catene, tutte donne in vincoli. Chè il vincolo, sebbene reciso , non restituisce libertà. Lo sanno bene le donne di tutte le epoche: estremamente contemporaneo questo spettacolo che parla di amori interrotti con uomini smarriti.
Circe, interpretata da Simona Mazzanti, Calipso, interpretata da Vania Lai, sono disperate per la perdita che non riescono ad accettare. Si dimenano, patiscono , reagiscono e si disperano. Non vogliono perdere l’amore, non riescono ad accettarlo. Ulisse però deve andare, lui deve proseguire il suo lungo viaggio decennale. Deve arrivare a quello che più reputa importante, nonostante queste passioni fortissime. Ulisse deve andare ad Itaca, da sua moglie, da suo figlio nella sua terra. Ma vuole veramente andare o è soltanto un’illusione di desiderio?
Si incontrerà anche con Penelope, perché Ulisse is back! La moglie, interpretata da Giorgia Coppi, è la meta ambita, di un percorso molto poco mitologico e completamente umano.
Anche in questa interpretazione di Savino, Ulisse rimane il più moderno degli eroi antichi.
Siamo a teatro? Siamo nella mente di Ulisse?
Di certo siamo in un’istituzione totale, forse un carcere o un manicomio in cui la scenografia di Mattia Urso rimanda ai quadri del Maestro della pittura Metafisica. In questo caos psicologico appaiono anche marinai che sembra pedalino un’imbarcazione nautica con futuristici movimenti, indossando ambiti che ricordano lo Spugna di dysneiana memoria. Ultrafemmine dell’Olimpo interagiscono: una Minerva in latex, interpretata da Martina Brusco, cerca di dipanare le matasse del dolore, quello di tutti i personaggi.
La quarta parete è sfondata dal personaggio dello Spettatore, interpretato da Vincenzo Acampora, che con taccuino e penna, occhiale e giacchetta, è più psichiatra che fruitore del testo.
Plauso a questa compagnia teatrale che ha rimesso in scena un testo complesso e raramente rappresentato. Struggente, comprensibilissimo per tutti quelli che hanno aspettato Ulisse, il proprio Ulisse. Per tutti i confusi come Ulisse.
Da non perdere, sarà difficile rivederlo a breve.
Barbara Lalle