Al Teatro Brancaccino di Roma, in scena fino al 20 Ottobre Lady Macbeth – Scene da un matrimonio, un progetto di Michele De Vita Conti e Gian Manuel Rau.
Sul palco un grande cerchio di sale crea un ambiente separato, isolato, al centro. La scena richiama la land art, sembra un’installazione di arte contemporanea. I pochi oggetti di scena sono nascosti dentro e usati al momento.
Una bossanova parte d’emblée, a volume sostenuto e appare Maria Alberta Navello che si presenta già fantasma con tunica lattiginosa a tre balze. Anche il viso imbiancato da un leggero cerone ed i capelli raccolti in una fascia, sostanziano la figura già trapassata, pur non accennando la sua fine nota, se non in epilogo di pièce. Molto buona la prova dell’attrice, la parte migliore dello spettacolo. Senza mai esitazioni, riesce da sola a segnalare le modulazioni del testo.
Michele De Vita Conti ha scritto e diretto questo atto unico, prodotto da Onda Larsen, al fine di far rivivere Lady Macbeth dopo aver già sperimentato questa formula narrativa con personaggi realmente esistiti come Orson Welles, Mia Martini e Poe.
Questa volta però l’operazione non sembra del tutto riuscita. Il testo ha un valore altalenante, a tratti convince e sviscera, in altri vagheggia e annoia.
Anche le altre componenti dello spettacolo, invece di contribuire alla creazione di senso, in realtà creano più che altro dubbi sul loro scopo. Sembrano assemblati fra loro in modo casuale. È così per le musiche, i cambi costumi di Brigida Sacerdoti e la scenografia di Lucia Menegazzo. Ognuno di questi elementi sarebbe di per sé bello, ma uno spettacolo teatrale non è un’installazione in galleria né una performance di arte contemporanea, ma una forma specifica di comunicazione con il pubblico.
Si esce da questo spettacolo con un dubbio totale, senza saper bene che cosa si è visto, se non un fantasma con luci ed ombre.
Barbara Lalle