Le tensioni al governo tra Lega e Movimento Cinque Stelle chiamano in causa le opposizioni per garantire la stabilità dell’esecutivo. E così potrebbero nascere quattro maggioranze provvisorie per arrivare all’approvazione di altrettanti programmi.
Il caso più noto è quello legato alla mozione presentata dal Movimento Cinque Stelle sul Tav. La Lega per il via libera ha bisogno dell’appoggio del Partito democratico, che si trova di fronte all’ardua scelta: dare il suo apporto per l’approvazione della realizzazione dell’opera o mandare il crisi il governo gialloverde.
Il secondo voto scottante è quello sul decreto Sicurezza Bis. Dalle parti della Lega si teme un tradimento dei Cinque Stelle o comunque che possa spuntare qualche tiratore franco. In questo caso in sostegno del partito di Matteo Salvini arrivano i voti di Fratelli d’Italia della Meloni e di Forza Italia di Silvio Berlusconi. Con i riflettori puntati sul Pd che potrebbe sostenere la ribellione pentastellata.
Sulla riforma della Giustizia la maggioranza è spaccata. Anche in questo caso a far valere le ragioni della Lega potrebbe essere il partito di Silvio Berlusconi.
Il quarto dossier che potrebbe richiedere una maggioranza alternativa è quello sull’Autonomia. Anche in questo caso le forze al governo sono distanti e con pochi punti di contatto. I pentastellati potrebbero non votare il provvedimento e l’approvazione sarebbe ancora una volta nelle mani di Forza Italia, questa volta senza Fratelli d’Italia.
Martedì 6 agosto sarà il giorno fatidico, quello che decreterà le sorti di questo governo, nonché il giorno della fiducia al decreto Sicurezza bis. Solo due giorni fa la maggioranza ha guadagnato un altro senatore, Emma Pavanelli (M5S), ripescata in Umbria – ricorda Il Corriere della Sera – per mancanza di candidati nel collegio vinto in Sicilia. Così ora l’esecutivo gialloverde può contare su 165 voti, 107 del Movimento 5 Stelle e 58 della Lega. Appena cinque in più rispetto alla maggioranza necessaria di 160 voti. Una coincidenza che potrebbe essere fatale perché sono almeno cinque i senatori del M5S che potrebbero votare contro o astenersi.
A margine, con la chiusura dei lavori parlamentari a Montecitorio, è rimandato a settembre il via libera definitivo della riforma costituzionale per il taglio del numero dei parlamentari. Il testo, in discussione alla Camera, è stato inserito nel calendario dell’Aula per la discussione generale per il 9 settembre con inizio delle operazioni di voto previsto per il 10 settembre.
Dopo l’approvazione a Palazzo Madama l’11 luglio, l’esame in Commissione Affari Costituzionali non si è concluso in tempo utile per l’approdo in Aula prima della pausa estiva. ”Le opposizioni hanno scatenato una forte resistenza con immotivati momenti di tensione in commissione – ha accusato Giuseppe Brescia, presidente della commissione e deputato del Movimento 5 Stelle. Ma la sostanza e’ che dal voto finale non si scappa. A settembre la riduzione del numero di senatori e deputati sara’ realta’”.
L’ultima lettura di un progetto di revisione costituzionale – spiega dall’altro lato il deputato del Pd e costituzionalista Stefano Ceccanti – e’ in assoluto la piu’ importante perche’ e’ irreversibile. Per questa ragione dovrebbe essere la piu’ meditata. Ora, invece, la maggioranza assolutamente compatta tra M5S e Lega sta cercando di chiudere in due giorni la discussione sulla riduzione dei parlamentari, nonostante che debba andare in Aula solo a settembre’.
La riforma e’ stata approvata in seconda lettura al Senato nel luglio scorso. La sforbiciata al Parlamento sarebbe di 345 seggi, il numero di deputati e senatori scenderebbe cosi’ complessivamente a 600.
In Senato il via libera non ha ottenuto i due terzi dei voti parlamentari, maggioranza necessaria a per evitare la possibilità di una richiesta di referendum sul testo.
Entro tre mesi dalla pubblicazione della legge, possono, dunque, chiedere il referendum un quinto dei deputati o dei senatori o 500 mila cittadini o 5 Consigli regionali.