Un primo maggio senza una sinistra politica

Abbiamo un partito democratico senza una sinistra e una sinistra senza più un partito. Ne è la prova il disastroso risultato elettorale, dipeso dal fatto di essere andati alla ricerca dei voti fuori dalla casa del padre. Siamo arrivati al punto che il programma del Pd troverebbe più consensi nell’altro partito moderato, anch’esso in via di estinzione che è Forza Italia. Non si capisce la drammaticità della scelta che il Pd è chiamato a fare tra pochi giorni se non si parte da un dato ben preciso: la voragine culturale e ideale che si è aperta nel campo progressista e che ha sostituito un sistema di valori fondanti e duraturi nel tempo. Nella passata legislatura la sinistra democratica ha prodotto il massimo sforzo per ritagliasi un orizzonte politico solido e duraturo. Il nuovo orizzonte era una politica volta a promuovere le uguaglianze delle opportunità, al posto della protezione sociale e redistribuzione, cuore tradizionale della sinistra, dinamismo economico e sviluppo.Questa strategia si è però inceppata nella sinistra europea e ancor di più in quella italiana. Sono rimaste aperte le tre grandi diseguaglianze: quella di istruzione, tra noi e il resto d’Europa, quella territoriale tra Nord e Sud, quella generazionale a danno dei giovani. Dalle urne è giunto in modo inequivocabile l’effetto di questo insuccesso. Da un’attenta analisi del voto del 4 marzo emerge che il Pd ha perso la connotazione dei partiti socialdemocratici europei, basata su una forte presenza della classe operaia, dei salariati dei servizi e dei ceti medi del settore pubblico. In tutta Europa ,con l’eccezione della Francia, la sinistra è in affanno, in Italia è quasi in coma.I voti degli operai e della classe media del settore pubblico , negli ultimi cinque anni si sono spostati dal Pd ai Cinque Stelle e alla Lega. Ma nemmeno questo disastroso risultato sembra aver dato una scossa al partito, anzi ha acuito le divisioni interne senza dar luogo a discussioni e decisioni. A questo punto non poteva che tornare alla ribalta l’ex segretario ed ex Premier, Matteo Renzi che resta di certo il deus ex machina del partito. Ciò che se ne trae da questa situazione di stallo, è che l’eccessivo tatticismo e le estenuanti manovre abbiano preso il sopravvento sulla necessità di una strategia e di un rinnovamento politico.Quindi con quale strategia e con quale proposta il Pd può presentarsi alla trattativa con Di Maio per la formazione di un governo? Ma bisogna ricordarsi che gli italiani hanno punito il Pd il 4 marzo. Per tanti elettori, soprattutto del Centro-Nord, che votano il Centrodestra,sarebbe paradossale vedere condurre le trattative da un partito che gli elettori hanno severamente punito.Il Gruppo dirigente del Pd è chiamato ad una scelta cruciale. Da un lato, permettendo la formazione del governo ai Cinque Stelle, renderebbe un sevizio al Paese che ha bisogno di un governo e di un Parlamento che funzioni, garantendo alla compagine il peso delle proprie competenze e della propria esperienza. Dall’altro dovrebbe farlo nel segno di una continuità del suo passato e della sua dirigenza, ma questo potrebbe minare ancor di più la fiducia del suo elettorato, oppure dovrebbe porsi in una condizione di subalternità politica , ma questa ne decreterebbe la fine.

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