Voglio parlare oggi di arte e della imprevedibilità della nascita di una personalità artistica che giocoforza produce un derivato nelle sue creazioni. Naturalmente voglio cogliere questa imprevedibilità a partire dall’uso dei termini stessi di gioco e di derivato. La persona di cui voglio parlare oggi si confronta, quasi fosse un gioco, con una dissociazione sistematica della sua personalità creativa, così come può accadere ad un romanziere che produce inevitabilmente, e faccia testo per questo quanto diceva Alberto Moravia, un modo di intendere ed interpretare la vita facendo divenire il tutto biografico e, perché no, autobiografico. E sia principalmente chiaro che voglio parlare di arte e non di arte retrocessa in mera “tecnica creativa”, che riproduce sempre ed inevitabilmente se stessa come in un inguaribile format, che può esprimersi anche attraverso agende, calendari e varie, riuscendo a mantenere sì una quotazione degna, ma proveniente esclusivamente da un supermarket di primizie fossilizzate nel processo creativo. Una arte barocca, per intenderci, ovvero sempre funzionale ad un apparato scenico. Mi discosto ora da questo cappello giornalistico per parlare dello sconosciuto eccellente che è Olivier Doria, professionalmente appartenente in passato al team della Merrill Lynch e che è stato il primo a lanciare titoli di Stato Italiani e derivati sui BTP nel mondo come derivati, ovvero posti in termini di leva finanziaria operata sui margini. Ma non sono un esperto di economia ed in tal senso voglio fermarmi qui. Olivier Doria è stato allievo prediletto di Edward Oakley Thorp, professore di matematica e manager esperto di fondi speculativi e finanza creativa, del gioco del black jack in cui applica la teoria della probabilità nel conteggio delle carte, e pioniere della teoria della probabilità e delle correlazioni affidabili ed utilizzabili per fini di lucro. Dal canto suo, ed a valanga, Olivier Doria ipotizza un sistema basato sull’incrocio di parabole dirette in senso opposto, per calcolare nel gioco della roulette il momento del lancio della pallina ripresa da una telecamera, ed in senso opposto la velocità della ruota per cogliere il settore di atterraggio della pallina. Ovvero l’applicazione del controllo della probabilità ristretta in un sistema di calcolo. Grande appassionato anche lui del gioco del black jack e sarebbe utile ed intrigante chiedergli dei risultati ottenuti, visto che Fedor Dostoevskji, autore del romanzo “Il Giocatore”, acclara freudianamente che il giocatore inconsciamente gioca per perdere. Il collegamento con Sigmund Freud non è casuale visti i dialoghi in merito esistenti tra i due e consegnati alla storia. Olivier inizia il suo rapporto con l’arte come collezionista di pittori sconosciuti che scova in sella ad una Vespa nei dintorni londinesi ed inizia a dipingere su giornali e cartoni con pennarelli auto collocandosi nella street art, con il quale può avere sì in comune il coupage, ovvero i tagli, ma io preferirei parlare di tagli, ritagli e frattaglie dove Olivier riesce a dare un senso di equilibrio che resta fissato ed interpretabile. Notevole una sua creazione in cui appare Andy Warhol, carte da black jack, banconote e carte di credito strappate, circondati da scritte da writer come nomi ossessivamente trascritti, e dove il tutto diviene magicamente arte. “Ho iniziato a dipingere nel giugno 2007”, dice Olivier, “sul desk della Deutsche Bank Equity”, dove lavorava vendendo il suo primo quadro al numero due della struttura Michele Faissola. E colloca i suoi quadri a tutto il trading floor, ovvero il top management della DB di Londra. Altre sue opere sono notevoli per giochi di colore, ed è da vedere il quadro che rivisita il gioco del biliardo altra grande passione di Olivier. Mi resta da dire qualcosa senso di up e down è comune a molte personalità artistiche e creative, vedi Jean Arthur Rimbaud e Paul Verlaine che vengono fissate nella “Stagione all’inferno” con: “Lo spirito al settimo cielo, il corpo più umile sotto i tavoli…”. Svelo poi che Olivier Doria è il principe Olivier Doria d’Angri, figlio della mitica principessa Giovanna Pignatelli Aragona Cortés che conosce fin da piccolo Aristotele Onassis, Jackie Kennedy, Pablo Picasso, Salvador Dalì e molti altri, quasi a dire che venga svezzato tra stile, finanza, arte e potere presi a colazione. Olivier che afferma oggi in un suo scritto: “…a fanculo chi non capisce che la vita può finire in un attimo!!! Vamos!!! a fanculo chi non capisce che la vita può finire in un attimo… ed ho incominciato a 50 anni quando avevo perso la spensieratezza partendo in una lunga estate cantando, ballando, e facendo amicizia con tutti…” cosa questa che mi offre la possibilità di richiamare un mio precedente articolo in cui ho scritto del principe Antonio De Curtis, in arte Totò, e della sua appartenenza alla Massoneria Scozzese che ha finalità evolutive ed ascensionali e dedita allo sviluppo dell’essenza dell’individuo. Quindi ascensione in verticale e non in orizzontale, espressa dal Totò pagliaccio, che al tempo stesso era l’aristocratico principe De Curtis, e che fissa nell’immaginario collettivo dei lettori della “A Livella” il disincantato scopatore che in posa gigantesca fronteggia la morte. Totò che ci racconta in versi di essere stato testimone di un fatto curioso; il fantasma di un marchese e quello di un netturbino che si incontrano dove sono sepolte le loro salme, l’una accanto all’altra. Il marchese, irritato dalla vicinanza della spoglia e sporca tomba dell’altro, lo aggredisce: “come avete osato di farvi seppellir, per mia vergogna, accanto a me che sono blasonato? Ancor oltre sopportar non posso la vostra vicinanza puzzolente”. Il netturbino, dopo averlo ascoltato, si spazientisce: “Ma chi te cride d’essere… nu ddio? Ccà dinto, ‘o vvuò capì, ca simmo eguale? Muorto si’ tu e muorto so’ pur’io; ognuno comme a ‘n’ato è tale e qquale”. Il nobile è vestito col cilindro e un gran pastrano, è marchese, signore di Rovigo e di Belluno, porta solo appellativi ma non possiede un nome e parla correttamente; lo “scupatore” è tutto sporco e misero, si chiama Gennaro Esposito e parla in dialetto napoletano. Basterebbe immaginare lo “Scupatore” vestito di stracci con sul petto una croce a cospetto con la morte, non nemica ma vista come fine di un passaggio, non drammatica ma necessaria, perché spezza la simbologia della terra ed è vista come rivelazione ed introduzione. Putrescat ut resurgat, iniziazione che spalanca le porte ad una vita nuova liberando le forze ascensionali dello spirito. E’ il messaggio di Gennaro, lo scopa-tore: “nuje simmo serie… appartenimmo â morte!”. La Morte è, del resto, il campo neutro, dove non esistono distinzioni né per bontà o cattiveria, né per nobiltà o povertà, né di gerarchia e potere: “’A morte ‘o ssaje ched’è? … è una livella”. Questo penso scrivendo del “gigante buono”, come viene definito Olivier, confidando che al momento tenda la mano allo scopatore per aiutarlo ad alzarsi dalla tomba ed essere quindi gigante anche nell’ultimo suo passaggio intermedio. Aspettando la mostra di quadri di Olivier che si terrà al Testaccio di Roma voglio salutarlo senza parlare di roulette o di black jack bensì di dadi, e citando Stephane Mallarmè che utilizzo in senso ampio, vasto e traslato, con: “Un coup de des jamais n’abolira le hasard”, ovvero che un tratto ad i dadi mai abolirà la sorte, perché in nessun caso si potrà mai modificare il finale…
Roberto Cristiano