Un sondaggio dice che il 60 per cento degli italiani promuove la riforma targata Meloni sul premierato. Massimo Cacciari ne elenca i limiti

L’ultima rilevazione Quorum/You Trend conferma che il 60% degli italiani promuove la riforma costituzionale targata Meloni sul premierato. Dopo la firma del Quirinale e l’autorizzazione di trasmissione alle Camere del disegno di legge,  arriva un avallo diretto dall’elettorato italiano. Se gli elettori fossero chiamati oggi ad esprimersi sulla riforma, i cittadini sono convinti che una riforma costituzionale sia necessaria. Per il 53% degli intervistati un provvedimento di riforma costituzionale è ‘molto’ o ‘abbastanza’ urgente. Tra gli elettori di centrodestra, ovviamente, la percentuale sale fino all’80%.

Entrando nello specifico del premierato, ossia l’elezione diretta del presidente del consiglio, il 54% degli intervistati si dichiara favorevole;  e solo il 31% si dice contrario. La situazione non cambia se parliamo di referendum popolare: il 60% degli intervistati promuoverebbe la riforma costituzionale se fosse chiamata a votare. Piacciono soprattutto due cose: l’eliminazione dei senatori a vita di nomina presidenziale; e la possibilità di ovviare all’instabilità dei governi, ritenuto un problema da eliminare.

In pratica Giorgia Meloni chiede ai cittadini: ’Che volete fare, volete contare e decidere o stare a guardare mentre i partiti decidono per voi? Questa è la domanda che faremo quando sarà necessario’, afferma la premier dicendo stop ai governi scelti sulla testa dei cittadini: ‘Questa riforma non serve a qualcuno, serve a tutti, indipendentemente da chi governa. E lo sanno anche quelli che per calcolo politico la stanno osteggiando senza però offrire argomenti seri. Perché la verità è che si sono talmente abituati a governare perdendo le elezioni che vogliono continuare a fare così anche in futuro’.

Sulla riforma costituzionale ‘cercheremo il consenso ampio in Parlamento, però se non sarà possibile saranno gli italiani a esprimersi’. Confermando la volontà di tirare dritto sull’elezione diretta del premier, ricorrendo al referendum popolare qualora non dovesse esserci in Parlamento una maggioranza che raggiunga i due terzi: ‘In 75 anni di storia repubblicana noi abbiamo avuto 68 governi, con un orizzonte medio di un anno e mezzo e lo abbiamo pagato. Sono gli effetti della instabilità politica. Nel caso di un referendum sulla riforma costituzionale sarete voi a dirci se volete o no mettere fine alla stagione dei giochi di palazzo: dei ribaltoni, delle maggioranze arcobaleno, dei governi tecnici e dei governi che durano al massimo un anno e mezzo e portare l’Italia nella Terza Repubblica. E Io confido che gli italiani non si faranno scappare questa occasione di realizzare la madre di tutte le riforme, quella da cui dipende anche la capacità di fare tutte le altre’.

La propensione verso l’elezione diretta del presidente della Repubblica e del capo del governo delinea, quindi, un percorso già avviato da tempo. Dai governi precedenti, che hanno fatto largo ricorso ai decreti legge e al voto di fiducia. Una pratica utilizzata anche dall’attuale esecutivo. Con l’effetto di indebolire il ruolo del Parlamento chiamato a confermare quanto già deciso da Palazzo Chigi. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella costituisce una garanzia di fronte al rischio che la fiducia presidenziale si traduca in ‘presidenzialismo di fatto’. Ma l’elezione diretta del premier, tornato alla ribalta del dibattito politico, potrebbe dare vita a nuove forme e formule di presidenzialismo. Che rimane l’obiettivo prioritario delle riforma costituzionale immaginata da Giorgia Meloni da sempre.

A differenza di quando sondato con i cittadini Massimo Cacciari non ‘crede affatto che agli italiani interessi la riforma del governo Meloni sul premierato. Nessuno in Italia, nella situazione in cui ci troviamo, ha interesse a discutere di premierato o di questioni di architettura istituzionale. In più, questa riforma è una insensatezza totale, una pura e semplice follia, un pasticcio, una sgrammaticatura da bocciatura all’esame di diritto costituzionale’.

Certamente si tratta di temi importantissimi – continua Cacciari – e figuratevi se io sono contrario per principio anche a una riforma che vada in senso presidenzialistico. Ma una riforma deve essere coerente, altrimenti questi vanno a sbattere come è successo a Renzi, perché non ha alcun senso fare un premierato di questo genere e mantenere la figura di un presidente della Repubblica’.

‘Si beccheranno un referendum e lo perderanno. La Meloni sembrava una ragazza molto sveglia. Ma è possibile che le avventure di Renzi non le abbiano insegnato nulla? Ripeto, l’opinione pubblica non ha nessun interesse a queste questioni, forse poteva averlo all’epoca di Renzi. Ma lì non fu la questione istituzionale a contare, ma l’antipatia che Renzi aveva suscitato intorno a sé e la rottura con Berlusconi che lo aveva fottuto’.

‘Questa della Meloni si concentra  esclusivamente sul ‘simbolo’ del Premierato decisionistico.  Il modo migliore per rovinare le repubbliche è quello di impedire la riforma del loro assetto istituzionale. Le repubbliche sono organismi che vivono fino a quando si trasformano. Il problema è che non ogni innovazione funziona e in un sistema politico tutto si tiene, e se muti una parte devi mutare l’architettura dell’insieme. Ora, ciò che davvero riempie di filosofica meraviglia della riforma Meloni è il sovrano dispregio per questa logica di ‘sistema’. Come è possibile non vedere la formidabile contraddizione che si introduce nel nostro assetto istituzionale tra un Presidente capo dello Stato, eletto dal Parlamento, e un Premier eletto direttamente dal ‘popolo sovrano’? Un Presidente che mantiene sostanzialmente tutti gli straordinari poteri che la Costituzione gli attribuisce, da quello di capo delle forze armate a quello di garante dell’autonomia della Magistratura, in quanto presidente del Csm, nonché quello di potersi ‘appellare’ alle Camere, ma esautorato da ogni possibilità di influenzare l’azione legislativa. Un pasticcio trasteverino bruttissimo. Le vie di mezzo, cara Meloni, assommano i vizi degli estremi, diceva Kant. Perché non seguire la via diritta? Elezione diretta del Presidente che costituisce il suo governo e ne è il premier. Di doppioni in Italia ne abbiamo già a bizzeffe, volendo una vera riforma in senso decisionistico, risulterebbe subito evidente la necessità di predisporre validi contrappesi. E i possibili sono noti da tempo: una riforma del Titolo V in senso autenticamente federalistico. Il peccato mortale di questo disegno di riforma sta però altrove, nel credere o nel fingere di credere o nel volerlo dare a intendere che il problema-chiave che impedisce il funzionamento del nostro Stato stia nel suo ‘cuore’ politico, dentro ai ‘palazzi di regime’, tra Quirinale e Palazzo Chigi. L’ultimissimo dei nostri problemi è quello del gioco Presidente-Premier.  È la macchina amministrativa  che va sbloccata: semplificando, delegiferando, costruendo testi unici in tutti i capitoli essenziali dell’intervento pubblico’.

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