Da 48 anni, 270 è il numero che apre le porte della Casa Bianca, l’ossessione del presidente in carica, Barack Obama, e del rivale repubblicano, Mitt Romney: perché 270 è il numero di grandi elettori (presidential electors) necessario per essere eletto oggi alle 57esime presidenziali degli Stati Uniti. Sul piano formale, l’elezione avviene in maniera indiretta: il capo di Stato è scelto da 538 grandi elettori, frutto del voto popolare. In ognuno dei 50 Stati si vota per eleggere un certo numero di grandi elettori, pari al numero di deputati e senatori che lo rappresentano in Congresso (il District of Columbia è trattato come lo Stato con meno rappresentanti). Il candidato che vince – anche di un solo voto – in uno Stato conquista tutti i grandi elettori in palio (tranne in Maine e Nebraska, dove vige un sistema misto), che poi il 17 dicembre eleggeranno il presidente e il vicepresidente degli Stati Uniti. Ogni delegato è tenuto – ma non obbligato, perché la Costituzione tutela il diritto alla libertà di espressione – a seguire la volontà espressa dai cittadini del suo Stato. Per diventare presidente, servono – appunto – 270 voti.
E' dal 1964 che ci sono 538 grandi elettori, pari alla somma di deputati (435, assegnati agli Stati in base alla popolazione) e senatori (100, due per ogni Stato), più tre attribuiti a Washington D.C., ma il censimento del 2010 ha cambiato il 'peso' di alcuni Stati per le elezioni che si terranno fino al 2020. Gli Stati che hanno un numero maggiore di delegati sono otto, tra cui il Texas, che ne ha guadagnati quattro; dieci, invece quelli che ne hanno persi, tra cui New York e Ohio, che ora hanno a testa due grandi elettori in meno. Lo Stato che ne assegna di più resta la California, con 55, poi Texas (38), New York e Florida (29); i sette Stati meno popolosi (Alaska, Delaware, Montana, North e South Dakota, Vermont e Wyoming) e il District of Columbia hanno invece, ciascuno, tre grandi elettori.