Gli Stati Uniti tornano a puntare il dito contro il governo di Assad, sprofondato in un nuovo livello di depravazione con il sostegno di Russia e Iran. La nuova denuncia arriva da Stuart Jones, assistente segretario per gli Affari esteri del Vicino Oriente, che ha mostrato alla stampa le foto satellitari di un presunto forno crematorio dove verrebbero bruciati i corpi dei prigionieri di guerra. Secondo l’accusa americana la struttura, che si trova all’interno della prigione militare di Saydnaya a circa 45 minuti da Damasco, sarebbe stata modificata per nascondere le prove di esecuzioni di massa, tramite impiccagioni.
Gli Usa, ha promesso, presenteranno le prove alla comunità internazionale. Il Dipartimento di Stato ritiene che nella prigione siano impiccati circa 50 detenuti al giorno. Era stata Amnesty international a puntare per prima il dito contro il carcere di Sednaya: in un rapporto dello scorso febbraio sosteneva che vi venivano impiccate mediamente da 20 a 50 persone a settimana, per un totale tra 5.000 e 13mila vittime in quattro anni. Una carneficina, con l’ombra sinistra di un crematorio che evoca gli eccidi nazisti.
L’accusa arriva all’indomani di un’intesa anche tra Usa e Russia sulla creazione di zone cuscinetto in Siria, concordata nei colloqui di Astana tra Mosca, Ankara e Teheran. Vi sono ragioni per restare scettici sulle aree di de-escalation, ha detto Stuart Jones, rilanciando il monito al regime di Assad perché fermi tutti gli attacchi contro i civili e le forze di opposizione e richiamando la Russia alla sua responsabilità nel far rispettare a Damasco i suoi impegni.
Il Cremlino non ha reagito alle accuse di complicità ma Vladimir Putin proprio oggi ha detto di sperare moltissimo che la creazione delle zone di de-escalation in Siria sia uno strumento efficace, prima di tutto per mantenere la cessazione delle ostilità. Intanto dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani e media locali arrivano notizie di altre 20 vittime civili, attribuite ai raid della coalizione a guida Usa nel nord della Siria in una zona in mano all’Isis.