‘Per scongiurare il rischio che i risultati siano stati alterati da hacker stranieri, si deve richiedere il riconteggio dei voti negli stati chiave, ed in particolare in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin’, è quanto si legge in un rapporto che nei prossimi giorni verrà presentato alle autorità federali ed ai presidenti delle commissioni del Congresso da un gruppo di accademici, esperti di questioni elettorali e di cyber sicurezza, che hanno chiesto ad Hillary Clinton di avanzare la richiesta di un riconteggio. ‘Dobbiamo avere un controllo delle schede post elezione’, ha dichiarato Barbara Simons, esperta di voto elettronico e consigliere della commissione Usa per l’assistenza elettorale. Anche il fondatore del National Voting Rights Institute, John Bonifaz, e il direttore del centro per la sicurezza informatica dell’Università del Michigan, Alex Halderman, hanno partecipato alla stesura del documento, scrive oggi il Guardian. E decine di loro colleghi hanno finora firmato una lettera aperta ai leader del Congresso in cui si esprimono la loro profonda preoccupazione: ‘Il nostro Paese ha bisogno di un’accurata, pubblica indagine del Congresso sul ruolo che poteri stranieri hanno giocato nei mesi precedenti alle elezioni’, si legge nella lettera in cui si sottolinea che comunque non si intende mettere in discussione il risultato delle elezioni. I sospetti di possibili hackeraggi del voto si fondano sulle note vicende della scorsa estate, quando i sistemi informatici del partito democratico e della campagna di Clinton hanno subito diversi attacchi che, secondo l’intelligence Usa, sono stati originati da hacker russi. Ed i sospetti si concentrano in particolare in uno stato come il Wisconsin, dove Clinton era stata data in vantaggio per mesi prima delle elezioni, e Trump avrebbe, secondo quanto anticipa del rapporto il quotidiano britannico, raccolto un grande numero di voti nelle contee dove viene usato il voto elettronico, un numero sproporzionato rispetto a quelli che ha ottenuto nelle contee dove ancora si usa la scheda cartacea. D’altro canto l’amministrazione Trump non nominerà un procuratore speciale per tornare ad indagare sulle sue email. E non riaprirà nemmeno l’inchiesta sulla controversa fondazione di famiglia, quella che l’ex first lady gestisce col marito Bill e la figlia Chelsea. Ad annunciare la clamorosa svolta, dopo le minacce della campagna elettorale, Kellyanne Conway, portavoce del presidente eletto. Presidente che per settimane con lo slogan ‘Crooked Hillary’ (Hillary la corrotta) aveva infiammato i suoi sostenitori. Fan il cui grido di battaglia – ‘Lock her up’, rinchiudila in galera – ancora agita l’ex candidata democratica. ‘Non voglio far del male ai Clinton. Non lo voglio davvero’, ha poi spiegato Trump al New York Times: ‘Ne ha passate tante e ha sofferto molto in modi diversi’. Il no all’inchiesta su Hillary non è l’unica promessa infranta da Trump a sole due settimane dall’Election Day. Sempre al New York Times Trump ha aperto sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici, assicurando che affronterà il ritiro o meno degli Usa dall’accordo di Parigi senza pregiudizi. Il neo presidente ribadisce con forza la sua linea contro l’eccesso di regole sia nel settore finanziario sia in quello dell’industria energetica, due fattori che per il tycoon bloccano lo sviluppo e la creazione di posti di lavoro. Sempre più difficile dunque decifrare questo ‘Trump in transition’, come scrivono alcuni commentatori. Per rendersi conto della strada che verrà effettivamente imboccata dal neo presidente bisognerà aspettare qualcosa di più dettagliato e il completamento del puzzle della squadra di governo. Per altri annunci, alla vigilia della festa del Ringraziamento, quasi certamente bisognerà aspettare il ritorno di Trump dalla pausa di due giorni in Florida, nel suo mega resort di Mar-a-Lago, a Palm Beach. Nelle ultime ore si registra però un’escalation dello scontro tra il tycoon e i principali media americani, accusati di essere ‘bugiardi e disonesti’ per come hanno seguito la campagna elettorale e come hanno tentato in tutti i modi, secondo Trump, di intralciare la sua corsa verso la Casa Bianca. Incontrando i big dell’informazione televisiva (Cnn, Abc, Cbs, Fox, Nbc) il presidente eletto si è scagliato contro molti di loro: ‘Era come stare davanti a un plotone di esecuzione’, hanno raccontato alcuni testimoni increduli. Trump ha poi rincarato la dose su Twitter, definendo i giornali che continuano ad attaccarlo sul conflitto di interessi corrotti. Salvo poi incontrare editori e giornalisti del New York Times in un tentativo di disgelo dei rapporti. Sul piano dell’immagine comunque Trump incassa già un successo. La Ford annuncia che manterrà la produzione di un modello Suv a Louisville (Kentucky), rinunciando a delocalizzarlo in Messico. Sembra un’operazione di relazioni pubbliche, perché in realtà la produzione di quel Suv nei piani del colosso automobilistico doveva essere sostituita con altri modelli, sempre a Louisville. Ma il comunicato della Ford è una vistosa apertura di credito al presidente-eletto: ‘Siamo fiduciosi che il presidente e il Congresso aumenteranno la competitività americana’. Che cosa si attende esattamente una multinazionale come la Ford? Per appagarla basta che Trump mantenga due promesse elettorali: l’abbattimento della tassa sugli utili societari dal 35% al 15%. E l’abbandono delle regole ambientali di Obama, che costringevano le case automobilistiche a produrre modelli meno inquinanti. Il protezionismo alla Trump può davvero invertire una tendenza trentennale e indurre le multinazionali a rimpatriare fabbriche, ri-localizzare sul territorio nazionale posti di lavoro che erano finiti in Cina o in Messico. Ma Trump non è solo al mondo e ci saranno contro-reazioni. Il vertice dei paesi Asia-Pacifico (Apec) che riuniscono il 60% del Pil mondiale, ha già dato un assaggio delle possibili risposte. Dalla Nuova Zelanda al Cile, è un coro: andremo avanti lo stesso con accordi commerciali, anche senza gli Usa. La Cina ha lanciato le grandi manovre per attirare i delusi da Trump: recluta alleati nel suo trattato alternativo, la Regional Comprehensive Economic Partnership. Anche se la Russia è un nano economico rispetto alla Cina, a sua volta Vladimir Putin può rilanciare il suo progetto di una grande area economica Eurasiatica, un’idea che fu accantonata dopo la crisi dell’Ucraina. Se Trump cancella le sanzioni, sarà più facile per la Russia tornare anche a giocare sullo scacchiere geoeconomico oltre che su quello militare.
Roberto Cristiano