L’economia americana ha perso 33 mila posti di lavoro a settembre. E’ la prima volta che si registra un calo dal 2010. Le previsioni erano di un aumento di 90 mila unita’. La disoccupazione si e’ attestata al 4,2%.
Le previsioni erano già state riviste al ribasso scontando l’effetto degli uragani Harvey che si sono abbattuti su vaste aree degli Stati Uniti, colpendo Stati come il Texas e Florida e frenando le assunzioni. Ma il calo di 33 mila unità – spiegano gli analisti – è andato ben oltre le attese. Una disoccupazione al 4,2% invece non si vedeva dai primi del 2001, con il tasso di partecipazione al lavoro balzato al 63,1%.
Trump aveva annunciato che le imposte sul reddito delle società passerà dall’attuale 35% al 20%, chiamando il provvedimento epocale e foriero di grande sviluppo economico e sociale. I dubbi sui risultati non solo appaiono leciti, ma doverosi.
Ryan Bourne, di Cato Institute, ricorda che stimate organizzazioni progressiste, ‘American Tax Fairness’ ad esempio, descrivono il taglio alle imposte come un omaggio alle aziende ricche e ai loro azionisti. La misura, secondo quegli analisti, ridurrà i ricavi governativi e, nel tempo, condurrà a meno servizi per i poveri. Messaggio confermato dagli americani attraverso il sondaggio di Wall Street Journal e Nbc News: ha evidenziato che il 55% degli intervistati vuole aumentare le imposte sulle società e un altro 25% vuole mantenere le tasse come sono.
Se guardiamo al confronto con gli altri paesi la sforbiciata di Trump consentirebbe al presidente statunitense di portare Washington tra i primi posti nella classifica dei paesi con il fisco decisamente favorevole per le aziende. La situazione attuale si presenta come segue: Singapore (17%), Polonia e Gran Bretagna (19%), Turchia e Russia (20%), Portogallo (22.5%), Paesi Bassi Spagna e Cina (25%), Italia (27%), Germania (29.8%), India (30%), Francia (33.3%), Stati Uniti (35%).
Va detto che, sulla materia, le opinioni si dividono e circolano ipotesi diverse sugli effetti che le misure di alleggerimento fiscale possono garantire alle imprese possano. Recenti studi hanno messo in evidenza come, mettendo a confronto il carico fiscale che grava su imprese e lavoratori, siano i secondi a sobbarcarsi quello più oneroso.
Alla luce di dati contraddittori, in molti si fa strada l’idea che il fisco aziendale leggero produca vantaggi sia per le imprese che per i lavoratori, generando di fatto la crescita del salario netto e sostenendo quindi i consumi. Ne guadagnerebbe il ciclo economico che raccoglierebbe più capitali da reinvestire.
Per chi ragiona in questo modo, le imposte sul reddito delle società sono, nella migliore delle ipotesi, una tassa furtiva pagata di fatto dai lavoratori. Nella peggiore delle ipotesi, un fattore di debilitazione degli investimenti. Peraltro, negli Stati Uniti, il tasso combinato federale e statale delle imposte sul reddito arriva quasi al 40%.
Resta che le imposte sul reddito delle società sono considerate da diversi economisti autentico ostacolo alla crescita, e i repubblicani americani non perdono occasione per richiamare quelle posizioni.
Un gran numero di esponenti democratici resta comunque preoccupato dalle misure fiscali che Trump si appresterebbe ad assumere. Ritengono che i grandi tagli fiscali che saranno regalati alle imprese, peggioreranno notevolmente la posizione fiscale dell’America e determineranno tagli ai programmi di spesa a favore dei poveri. Secondo loro, il taglio delle imposte dovrebbe eventualmente essere collegato ad impegni precisi delle imprese ad ampliare la base imponibile complessiva attraverso aumenti salariali, ad investire maggiormente in settori strategici e sociali, a rimpatriare profitti e divisioni aziendali, a ridurre evasione e money laundering in paradisi fiscali.