Dopo un blocco di 120 giorni gli Stati uniti riprenderanno ad accogliere rifugiati, ma gli arrivi da undici Paesi “ad alto rischio” in gran parte a maggioranza musulmana, resteranno bloccati. Il bando temporaneo, che il presidente Donald Trump ha cercato di attuare da gennaio ed è riuscito a far entrare in vigore solo a fine giugno dopo una sentenza della Corte suprema, comportava una revisione della procedure di sicurezza ed esami più stringenti sui richiedenti asilo. Jennifer Higgins, direttore associato per i rifugiati dei servizi d’immigrazione Usa, ha detto che i richiedenti asilo dovranno sottoporsi a un vaglio “potenziato” a seguito delle revisione, comprese verifiche approfondite sulla loro presenza esui loro contatti sui social media. Trump ha emesso un nuovo ordine esecutivo in sostituzione di quello in scadenza, che rientrava nel cosidetto muslim ban oggetto di decine di ricorsi in tribunale.
Il nuovo ordine si accompagna a un netto taglio delle quote di ammissione dei rifugiati. Il presidente Barack Obama aveva fissato il tetto degli arrivi per l’anno fiscale fino al 30 settembre 20117 a 110mila. Trump dopo il suo insediamento, anche in vigenza del blocco degli ingressi, l’ha più che dimezzato a 53mila e per il 2018 ha fissato il testo a 45mila. Il governo non ha dato una lista degli 11 Paesi a rischio per i quali gli ingressi restano bloccati: saranno sottoposti a un altro periodo di 90 giorni di riesame di intelligence e sicurezza, ma non è stato precisato cosa accadrà in seguito. Secondo le ong si tratta di Egitto, Iran, Iraq, Libia, Mali, Corea del Nord, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Siria e Yemen. Tranne la Nordcorea sono tutti Paesi musulmani e in passato i luoghi d’origine della maggior parte dei rifugiati negli Usa. Nel 2017 su 53.716 rifugiati accolti negli Usa, 22.150 provenivano da Siria, Iraq, Iran e Somalia.