VALERIO APREA apre la Stagione del Teatro India con IL GIORNO IN CUI MIO PADRE MI HA INSEGNATO AD ANDARE IN BICICLETTA | 15 – 27 ottobre

La nuova Stagione del Teatro India si inaugura il 15 ottobre con Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta, tratto dal primo racconto di Sandro Bonvissuto, diventato nell’interpretazione di Valerio Aprea un intenso reading che esplora il rapporto padre-figlio, in scena fino al 27 ottobre.

Una biografia dell’infanzia fatta di parole scolpite sul selciato della memoria, per imparare a pedalare sulle strade del mondo. Scritta da Sandro Bonvissuto, autore irregolare, puntuto, ironico. E messa in voce e dal vivo da Valerio Aprea, artista molto amato dal pubblico e da sempre impegnato con la lingua di scrittori contemporanei. Insieme in un incontro armonico tra parola scritta e parola detta, che trasforma le pagine del racconto in un potente monologo teatrale alla conquista dell’equilibrio su due ruote. Quell’avventura straordinariamente universale e tutta interiore, in cui la vita chiede a ciascuno di noi di diventare adulti.

Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta è la storia semplice di un bambino e del rapporto con il piccolo mondo che lo circonda. Ma è soprattutto una lezione di vita per tutte le età, restituita sulla scena dalla sapiente arte di Valerio Aprea, che tramuta la lettura del racconto in un atto performativo vivificante e fulmineo sulla strada dei primi passi verso il mondo e il possibile. Così, nel pomeriggio di un giorno d’estate un padre insegna al figlio ad andare in bicicletta; mentre la voce narrante della vita interiore ci accompagnerà lungo il percorso in cui si comincia ad abbandonare la casa della propria infanzia per gettarsi nel mondo degli adulti. Il tutto avviene su di una strada che costeggia il mare, davanti allo sguardo di un padre, di pochi amici e del sole che tramonta sull’orizzonte della vita di ciascuno. «Quando leggi Bonvissuto accade che all’inizio noti questa sua modalità di procedere per alternanza tra trama e digressione. Poi ti accorgi che digressione non è proprio il termine esatto perché in realtà quelli sono più degli approfondimenti di concetti che il racconto tocca in quei determinati punti. Ma sulle prime quegli approfondimenti non pare ti riguardino più di tanto, capisci che hanno tutta una loro dignità, ma probabilmente su fatti cari all’autore e che tu non cogli se non in modo semplicemente cognitivo – commenta Valerio Aprea – A un certo punto però ne arriva un altro e stavolta dici, no, un momento, questa cosa però non è niente male, cioè, ho capito che mi vuole dire, cosa mi sta indicando. Da quel momento è finita. Ci sei dentro fino al collo. Perché ti rendi conto che ognuno di quei momenti, di quelle riflessioni, ti riguarda eccome perché ti parla di questioni che realizzi di aver sempre pensato ma mai saputo formulato; e lo fa con un meccanismo di vera e propria vivisezione di pensieri e temi che ingrandisce al microscopio fino a vederne le particelle più piccole, le sottigliezze più inesplorate, generando così un’esplosione di contenuto e di senso di cui non puoi più fare a meno». 

 

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