Un seggio elettorale in Molise, 21 aprile 2018. Due partite nette e distinte, con logiche diseguali benchè accumunate dalle stesse urne elettorali: sono le elezioni regionali del Molise. Dalle quali usciranno sia indicazioni per il destino del governo nazionale sia la nuova mappa degli equilibri politici della regione per i prossimi 5 anni. ANSA/LUCA PROSPERI

Verso le Regionali e il referendum

Ultimi giorni di campagna elettorale in vista del voto di domenica e lunedì che vede 7 Regioni e mille Comuni chiamati al voto oltre al test del referendum. Ed è sfida aperta in Toscana, battuta a tappeto da Matteo Salvini a sostegno della candidata Susanna Ceccardi che sfida Eugenio Giani, candidato presidente del centrosinistra. M5s, alle prese con il caso Casaleggio, spinge sul referendum e da Luigi Di Maio arriva un nuovo appello per il sì. “Sul referendum tutto si gioca sull’affluenza. Per questo chiedo ai cittadini e, soprattutto ai giovani, di andare a votare domenica e lunedì perché è un’occasione che capita una volta sola: tagliamo 345 parlamentari della Repubblica. Passiamo da 945 a 600 parlamentari e lo facciamo per la prima volta nella storia con un referendum che riguarda solo questo, senza quindi altri argomenti o trabocchetti”.

Oggi a pochi giorni dalla celebrazione del Referendum convocato per sancire, o meno, il taglio del numero dei parlamentari, con un populismo miscelato a massicce dosi di strumentalità e ignoranza ben due italiani su tre dichiarano di non sapere esattamente su cosa sono complessivamente chiamati ad esprimersi limitando la loro percezione degli effetti del voto al solo taglio del numero dei parlamentari

Ciò in quanto si tende ad omettere di informare puntualmente in ordine a tutti gli aspetti e a tutte le ricadute di tale modifica costituzionale circoscrivendo gli effetti solo alle economie  in termini di cassa e di tagli alla casta.

Premesso che, come affermato dagli esperti, il risparmio reale per le casse dello Stato sarebbe quantificabile in meno di un euro l’anno per cittadino, volendo, comunque, rispettare la volontà sparagnina degli assertori di tale scelta, siamo convinti che si sarebbe potuto raggiungere lo stesso obiettivo con una semplice sforbiciata alle indennità dei parlamentari senza bisogno di ricorrere ai tagli parlamentari.

Non possiamo dimenticare  che il provvedimento sul quale siamo chiamati ad esprimerci il 20 e 21 settembre trova la sua origine all’interno del famoso “contratto” sottoscritto fra Lega e Movimento 5 Stelle che fu alla base della nascita del governo Conte 1

Due forze, quelle appena richiamate, molto diverse fra loro ma assolutamente ben amalgamate da un comune DNA: lo smantellamento dello Stato così come nato e sviluppatosi in 70 anni di democrazia.

Quanti sanno che i senatori eleggibili per ogni regione passerebbero da un minimo di sette a un minimo di tre comprimendo, così, ancora di più, l’attenzione alle diversità e alle specificità, a tutto ed esclusivo vantaggio delle regioni più popolose che, ovviamente, guiderebbero il Paese più verso i loro interessi che verso quelli più articolati e diffusi dell’intero territorio nazionale.

E’ di tutta evidenza che le due camere, una volta che dovessero vedere la riduzione di un terzo dei rispettivi componenti, fermi gli impegni di una ventina di parlamentari chiamati ad assolvere le funzioni dell’Ufficio di Presidenza, dell’Ufficio dei Questori etc. , dovranno comprimere radicalmente tempi e modalità del proprio operare.

“Non farò campagna elettorale sui territori per via dei miei impegni istituzionali. Voterò a Roma per il referendum. E mi esprimerò a favore, perché ritengo che il taglio dei parlamentari non comprometta la funzionalità del Parlamento”. Così il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sul referendum in programma il 20-21 settembre. “Anzi”, ha aggiunto, “può essere un primo passaggio per contribuire a valorizzare in termini di autorevolezza il lavoro dei parlamentari. Dev’essere corredato da altri interventi, da un percorso riformatore che andrà integrato e completato”.

Intanto a intervenire è l’ex segretario Pd Walter Veltroni. “Se quello di domenica fosse un voto sul governo, voterei a favore perchè non vedo alternative e penso che abbia fatto quello che doveva fare, e non era facile. Mi auguro poi che vincano i candidati di sinistra nelle regioni e mi dispiace che in alcune regioni non ci siano candidati comuni della coalizione di governo. Ma sul referendum, è un’altra storia”, ha detto Walter Veltroni, parlando a Otto e mezzo su La7 . “Il Pd per tre volte ha votato no a questa riforma. Io penso che non si possa fare un taglio dei parlamentari senza una riforma complessiva perché se si tocca parlamento, bisogna farlo tenendo conto degli equilibri necessari. Il vero problema è il bicameralismo perfetto. Per questo voterò no”.

La prima domandina, semplice, semplice è la seguente: ricordato che l’intero quadro normativo-regolamentare del nostro Paese ovvero tutti gli atti che scaturiscono dalla Pubblica Amministrazione devono trovare la loro fonte in una legge, ci si interroga sul perché si sia intervenuti solo sul numero dei parlamentari e non anche, e contestualmente,  sull’intero sistema che regola la vita del Parlamento che tali leggi è chiamato a discutere e ad approvare? Ci si riferisce in particolare, all’organizzazione dell’attività delle Commissioni e al modello elettorale.

Già oggi le Commissioni cui vengono attribuite per competenza l’esame dei diversi provvedimenti  in discussione  (Affari Costituzionali,  Giustizia, Affari Esteri ed emigrazione, Difesa, Istruzione pubblica e beni culturali,  Lavoro pubblico e privato e previdenza sociale, Lavori Pubblici e comunicazioni, Ambiente, Bilancio,  Finanze e tesoro, etc. etc.) volendo, e dovendo, svolgere con puntualità il proprio lavoro spesso fanno fatica ad approfondire compiutamente i diversi testi e tutti i connessi emendamenti ovvero ad ascoltare tutti i soggetti interessati che, giustamente, chiedono di poter esprimere le proprie posizioni sui provvedimenti stessi  E’, quindi, di tutta ovvietà che una più ridotta partecipazione obbligherebbe ad un vaglio meno dettagliato. Con ciò lasciando ancora più spazio alla pedissequa accettazione degli “indirizzi” che provenissero dalle diverse segreterie di partito.

E, sempre su questo tema, perché non si è voluto affrontare la spinosa questione della scelta dei candidati continuando, ancora, a sottrarre agli elettori ogni e qualsiasi diretto coinvolgimento riservando, ormai, in maniera assolutamente anacronistica ed assurda, solo alle segreterie dei partiti la scelta dei candidati e, a seconda dell’ordine della loro collocazione nella lista, di fatto, anche la loro elezione.

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