Roma, 26 giu. (askanews) - "Feltri si dimette da giornalista": così titola in prima pagina "il Giornale", che annuncia la decisione di Vittorio Feltri di dimettersi dall'Ordine dei giornalisti. "Dopo cinquant`anni di carriera - scrive in un editoriale Alessandro Sallusti - si è dimesso dall`Ordine rinunciando a titoli e posti di comando nei giornali, compreso nel suo Libero (lo fondò nel 2000). Perché lo abbia fatto lo spiegherà lui, ma io immagino che sia una scelta dolorosa per sottrarsi una volta per tutte all`accanimento con cui da anni l`Ordine dei giornalisti cerca di imbavagliarlo e limitarne la libertà di pensiero a colpi di processi disciplinari per presunti reati di opinione e continue minacce di sospensione e radiazione". "Dovete sapere - prosegue Sallusti -che per esercitare la professione di giornalista bisogna essere iscritti all`Ordine - inventato dal fascismo per controllare l`informazione - e sottostare alle sue regole deontologiche, che oggi vengono applicate con libero arbitrio da colleghi che si ergono a giudici del pensiero altrui in barba all`articolo 21 della Costituzione, che garantisce a qualsiasi cittadino la libertà di espressione in ogni forma e con ogni mezzo. In pratica puoi fare il giornalista solo se ti adegui al pensiero dominante, al politicamente corretto. Chi sgarra finisce nelle grinfie del soviet che, soprattutto se non ti penti pubblicamente, ti condanna alla morte professionale. A quel punto sei fritto: nessun giornale può più pubblicare i tuoi scritti e se un direttore dovesse ospitarti da iscritto sospeso o radiato farebbe automaticamente la stessa fine. Se invece ti dimetti dall`Ordine, è vero che non puoi più esercitare la professione - e quindi neppure dirigere -, ma uscendo dal controllo politico puoi scrivere ovunque, senza compenso, come qualsiasi comune cittadino".

Vittorio Feltri su Repubblica, gruppo Gedi e cambio di guardia Molinari-Orfeo

Una lettrice chiede a Vittorio Feltri il suo punto di vista   del caso Elkann, del  gruppo Gedi e del cambio della guardia Molinari- Orfeo. Feltri parte  dalla crisi editoriale del Gruppo, del forte  calo  di copie vendute e dei guai economici,  poi risponde nel concreto: “Posso dirti – scrive alla lettrice nella sua rubrica sul Giornale- che per nessun quotidiano oggigiorno è facile stare a galla. Ma, nel caso di Repubblica, sembra che chi la dirige faccia, o abbia fatto, di tutto per farla affondare. Trionfa una maniera di porsi nei confronti del lettore, del cittadino, dell’elettore che è sfacciatamente giudicante. I giornali non dovrebbero farci la morale, bensì dovrebbero raccontare i fatti. Lasciando al giornalista anche la possibilità sacrosanta di commentare la notizia, di metterci del suo. Tuttavia guardandosi bene dal porsi diversi gradini al di sopra del lettore; o pretendendo di essere depositario di verità assolute. C’è questo accanimento nei confronti di una premier, Giorgia Meloni, che gode di fiducia, stima e rispetto da parte degli italiani. Ma la quale si pretende di dipingere come un mostro. Il fascismo al  potere, l’autoritarismo della presidente del Consiglio, il presunto isolamento internazionale e varie fake news. E’ troppo: Il lettore ne è disgustato. Io penso che l’unica operazione buona ed efficace dal punto di vista economico Repubblica l’abbia realizzata quando ha preso di mira il generale Vannacci. Determinando il successo del suo libro: un libricino piuttosto modesto, ammettiamolo, ma che, grazie alla pubblicità e alle critiche cariche di livore e ideologismo tessute dal quotidiano di Elkann, ha generato un record assoluto di vendite. Vannacci, è divenuto popolare e amato in seguito alle pessime recensioni di Repubblica. Cosa vuol dire tutto questo?  Vuol dire che Repubblica non gode di credibilità se, allorché critica qualcuno, quel qualcuno viene apprezzato; e, allorché demolisce qualcosa, quel qualcosa viene acquistato. Non sarà questo cambiamento ai vertici di Gedi a rimettere a posto tutto. Bastasse così poco…”.

Si dice che  Orfeo  sia  un moderato: peccato che non lo siano i giornalisti di Repubblica, che stanno più a sinistra della sinistra radicale.

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