Vizi turchi

Ogni cultura esporta con le proprie virtù anche i propri vizi. Per quanto ciascuna civiltà sembri avere scoperto da sola l’esistenza—e gli effetti inebrianti—dell’alcol etilico, la maniera di consumarlo nel mondo oggi è quasi sempre la nostra. Il vino, i distillati e la birra si bevono perlopiù
seguendo da vicino le pratiche europee, usanze che avrebbero largamente soppiantato altre tradizioni.

Prima però di congratularci troppo per la nostra abilità nel corrompere il globo intero, è bene ricordare il strepitoso contributo turco, che in grande parte ci ha dato non uno ma due interessanti vizi pressoché universali: il consumo del caffè e del tabacco. Il caffè non fu scoperto dai turchi.
Viene dal Corno d’Africa, probabilmente dagli altopiani dello Yemen. Anche il tabacco venne “scoperto” altrove, dagli spagnoli nel corso delle loro esplorazioni delle Americhe. Lo trasmisero ai turchi dell’Impero Ottomano, che poi da parte loro resero sia il caffè sia il tabacco prodotti di massa.

A causa di una sorta di pregiudizio millenario, tendiamo a dimenticare che per secoli—poniamo, dalla caduta di Costantinopoli nel 1453—l’Impero Ottomano, più potente, spesso più ricco e meglio organizzato dell’Europa, occupava un ruolo nei confronti del frammentato “Vecchio Continente”
almeno vagamente paragonabile a quello degli Usa oggi. Era da lì che venivano le novità, le mode di Parigi, Madrid e Varsavia, come i profumi più prestigiosi e i primi café, a Vienna e a Venezia.

Il tabacco è arrivato presto in Europa occidentale, sempre dalla Spagna, ma era inizialmente un vizio “alto” e molto caro. Furono i turchi a coltivarlo in grande stile e a popolarizzarlo tra gli strati della società —un fatto di cui resta traccia linguistica nell’espressione “fumare come un turco”. E furono sempre i turchi, seppure attraverso una guerra—quella di Crimea (1853-1856)—a renderlo un vizio di massa in Occidente, quando i soldati britannici, francesi e italiani, loro alleati contro i russi, riportarono la cattiva abitudine a casa alla conclusione del conflitto.

Gran parte delle prime marche di sigarette, specialmente quelle inglesi, utilizzava quasi esclusivamente tabacco turco. Il tabacco proveniente dall’ormai ex-Impero Ottomano dominò il mercato globale del
fumo fino a metà degli anni ’60 del secolo scorso, quando il suo carattere particolarmente aromatico perse il vantaggio commerciale con l’avvento dei filtri per sigarette.

Malgrado la campagna internazionale contro il fumo, il tabacco rimane un’importantissima fonte di utili per i fabbricanti di sigarette, di introiti fiscali per i governi e di reddito per gli agricoltori—ma non più
per la Turchia, la cui industria del tabacco in tutte le sue fasi è passata negli ultimi anni totalmente sotto il controllo di una manciata di multinazionali.
Oggi, British American Tobacco, Philip Morris International, Imperial Brands, Japan Tobacco e Altria Group dominano in maniera assoluta il settore in Turchia. Il tabacco di produzione turca copre solo l’11% del
fabbisogno delle sigarette fabbricate nel Paese. Era il 42% nel 2003 e il 35% nel 2006. Ci sono voluti quasi sei secoli, ma abbiamo finalmente vendicato la vittoria del sultano Maometto II, detto “Il Conquistatore”, sui difensori cristiani di Costantinopoli.

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