Proseguono le inchieste del Washington Post sulla morte di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita ucciso in circostanze ancora da chiarire del tutto nella sede dell’ambasciata saudita a Istanbul.
Stando a quanto portato alla luce dal giornale americano, l’omicidio di Khashoggi sarebbe solo uno dei reati commessi dalla rete di sorveglianza e manipolazione della comunicazione e delle notizie messa in piedi in Arabia Saudita per eliminare o mettere a tacere i nemici e i critici del principe Mohammed bin Salman.
Stando a quanto riferito dal Washington Post, tra le società che costituirebbero l’impero informativo incaricato di proteggere il principe ce ne sarebbe anche una italiana, la Hacking team di Milano. L’azienda collabora con circa quaranta governi e sembra che abbia fornito al governo saudita il software utilizzato per spiare e arrestare Jamal Khashoggi. Quella avanzata dal WP, è bene chiarirlo, è un’ipotesi accompagnata da una minuziosa ricostruzione dei fatti ma non accompagnata da prove. Il giornale americano ha dunque presentato una sua ipotesi investigativa che al momento non sembra aver trovato riscontri nelle indagini ufficiali delle autorità competenti. Il rapporto tra il governo saudita e la Hacking Team Stando comunque alla ricostruzione fornita dal Washington Post, la Hacking team avrebbe consegnato al governo saudita i software per controllare e spiare iPhone e iPad. Due anni dopo, nel 2015, il governo saudita avrebbe chiesto uno strumento per spiare dispositivi Android promettendo una lunga collaborazione strategica. Come se non bastasse, sembra che la società milanese fosse a un passo dal fallimento in seguito al terremoto Wikileaks, e i problemi finanziari sarebbero stati risolti da alcuni investitori sauditi.