Google, Amazon, Facebook, Apple pagheranno le tasse in quei paesi dove effettivamente realizzano fatturato ed utili. Il progetto di una web tax per i colossi del digitale potrebbe essere varata grazie all’accordo di principio promosso dall’Ocse: 127 Stati, Italia compresa, che rappresentano il 90% dell’economia globale, hanno detto sì all’introduzione, già dal 2020, di regole comuni per tassare i colossi del Gafa(Google, Amazon, Facebook, Apple). L’accordo è stato sottoscritto anche da Paesi che non fanno parte dell’organizzazione. Così dopo anni di studi e lavori, dove fin’ora ha fallito l’Ue, si è arrivati a questo importante accordo per evitare che i gruppi specializzati in attività immateriali possano evadere le tasse ricorrendo ai paradisi fiscali.
Con questa intesa si considera, per il pagamento delle imposte, non semplicemente la sede ufficiale dell’impresa ma la localizzazione e i consumatori. Queste nuove regole dovrebbero essere approvate dai dirigenti del G20 (i 19 Paesi più ricchi del pianeta più l’Ue), per poi essere adottate da ognuno dei 127 Stati. Una armonizzazione delle discipline fiscali a livello mondiale è indubbiamente di difficile realizzazione ma con questo accordo si apre la strada alla web tax. Alcuni Paesi già da tempo stanno intraprendendo questa strada anche se molto timidamente.
In Italia con la legge di bilancio 2019, è stata una ‘web tax’ del 3% sui ricavi delle società digitali con un fatturato globale oltre i 750 milioni di euro e con introiti generati nel nostro Paese superiori ai 5,5 milioni. Anche la Francia sta seguendo questa strada: il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare un provvedimento ad hoc il 27 febbraio (ma sarebbe retroattivo al primo gennaio scorso). Nel Regno Unito la web tax è pari al 2% e sarà operativa dall’aprile del 2020. Per ora solo la Germania, assieme a Paesi più piccoli, rema contro ed ha impedito l’approvazione di una direttiva europea su questo tema. , il cui progetto è stato presentato nel marzo 2018.
L’Ok dei Paesi dell’Ocse all’accordo di una web tax è arrivato grazie al via libera di Paesi come la Cina, l’India e gli Stati Uniti. Ma è stato Washington a dare la spinta finale perché con la riforma fiscale votata dal Congresso americano a fine 2017 che ha ridotto l’imposta sulle società dal 35 al 21% l’amministrazione pubblica deve cercare di compensare il mancato gettito.
Gli Usa hanno già introdotto un minimo del 13% di tassa sui redditi di questi gruppi e sono ormai pronti a riconoscere il diritto a tassarli anche ai Paesi terzi. Insomma si va, su questo aspetto, verso un multilateralismo nella fiscalità prima nemmeno ipotizzabile.
Omar Scafuro